L’unione monetaria europea implica che ogni Stato membro raggiunga un ordine finanziario interno che porti l’indebitamento verso un minimo e la produttività/crescita a un massimo. L’Italia con 2.700 miliardi di debito a fronte di meno di 1.800 di Pil e con una crescita annuale tendenzialmente bassa è lontana da questo requisito.
In periodo di deflazione e di emergenza Covid, Bce e Ue hanno sostenuto l’Italia. Ora tale sostegno sarà minore se non nullo. Due opzioni: fare pressione sulle istituzioni europee, di cui l’Italia è socio rilevante, per ottenere aiuti, oppure mettere in priorità un riordinamento autonomo dell’Italia per renderla più forte.
Il primo caso implica un commissariamento dell’Italia con alta probabilità di una riduzione del debito via tasse patrimoniali depressive. Il Patto di stabilità (rigore) resterà sospeso per il 2023, ma l’Italia sta ricevendo segnali che non potrà fare più debito. Per inciso, l’Italia ha bisogno di un minimo di 60 miliardi (forse 80) in un biennio oltre quelli messi a bilancio per mitigare i costi da inflazione e quelli derivati dalla situazione di guerra, nonché la coda di quelli pandemici. Ci sono segnali chiari che questi non saranno coperti né da debito comune europeo, né da un nuovo programma straordinario di acquisto dei debiti nazionali da parte della Bce, pur il Governo italiano cercando di ottenerli con l’aiuto, però debole, della Francia. Ma c’è un muro degli altri europei: abbiamo già dato, ora l’Italia che ha il risparmio privato più alto d’Europa lo usi per mettersi in ordine.
L’ambiguità di Lagarde nel comunicare il come la Bce conterrà la divergenza degli spread è un sintomo chiaro di questa posizione: lo spread italiano è salito a picco generando un aumento dei costi per il rifinanziamento del debito con conseguenze recessive. Ciò, pur considerando che la Bce e Ue devono evitare la crisi dell’Italia per difendere la stabilità dell’euro, rende impraticabile la prima opzione. Lo ha detto con chiarezza il Governatore della Banca d’Italia: mettere in priorità la riduzione del debito.
Un modo non recessivo per farlo è valorizzare parte del patrimonio pubblico per tagliare almeno una parte del debito, riallocare la spesa pubblica verso impieghi produttivi riducendone la dissipazione, ma alzando la crescita, e incentivare l’enorme risparmio privato italiano a investire sull’economia italiana mentre ora solo il 5% lo fa.
Tale opzione di risanamento e rafforzamento dell’Italia, che è ricca e non povera, è certamente fattibile. Ma capiranno i partiti che è urgente avviarla?