Come ampiamente previsto, la Banca centrale europea ha deciso di alzare i tassi di interesse dello 0,25% a partire da luglio. Nella riunione del Consiglio direttivo tenutosi ieri ad Amsterdam è stato deciso anche che vi sarà un ulteriore rialzo a settembre, la cui entità dipenderà dall’andamento delle previsioni sull’inflazione a lungo termine. Inoltre, a partire da luglio cesseranno gli acquisti netti di titoli di stato tramite il programma App. Quanto all’ipotesi di un intervento della Bce per calmierare gli spread paventato a inizio settimana dal Financial Times, Christine Lagarde, rispondendo alle domande dei giornalisti in conferenza stampa, ha spiegato che “abbiamo gli strumenti esistenti, come il reinvestimento sotto il programma del Pepp che sarà usato con flessibilità, ma se sarà necessario aggiusteremo gli strumenti esistenti o useremo nuovi strumenti”, anche perché “sappiamo come creare e implementare nuovi strumenti, lo abbiamo fatto in passato e siamo pronti a farlo ancora”. “Non c’è uno specifico livello dei tassi o di spread che può far scattare la frammentazione, ma non tollereremo la frammentazione che impedirà la trasmissione della politica monetaria”, ha aggiunto la numero uno dell’Eurotower, la quale, ci spiega Domenico Lombardieconomista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “ha fornito ulteriori, importanti indicazioni tratteggiando quello che sarà l’intero sentiero di normalizzazione della politica monetaria nei prossimi mesi e il perimetro entro il quale avverrà”.



In che senso?

La fine della politica monetaria non convenzionale, con tassi di intervento negativi e acquisti di titoli su larga scala, era ampiamente attesa. Peraltro, le altre banche centrali sistemiche sono avanti in questo tragitto, riflettendo condizioni strutturali diverse delle proprie economie. La Fed ha terminato da tempo gli acquisti e ha già annunciato il ridimensionamento netto del suo bilancio, con la graduale vendita dello stock dei titoli precedentemente classati nel suo portafoglio. Tornando all’incontro di ieri, gli analisti volevano comprendere il ritmo della normalizzazione. Su questo, Lagarde ha chiarito che, da settembre in poi, la calibrazione della politica monetaria considererà anche incrementi di mezzo punto alla volta se la dinamica inflazionistica non migliorasse o addirittura peggiorasse.



A questo proposito, la Bce in soli tre mesi ha alzato le stime sull’inflazione al 6,8% dal 5,1% per il 2022, al 3,5% dal 2,1% per il 2023 e al 2,1% all’1,9% per il 2023: c’è il rischio che queste previsioni si rivelino nuovamente sbagliate?

Effettivamente la Bce e l’intero Eurosistema hanno commesso un significativo errore di previsione nel sottostimare la persistenza dello shock inflazionistico. Peraltro, si tratta di un errore condiviso dalle altre banche centrali e da importanti istituzioni internazionali come il Fmi. Anche il Segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, ha fatto il mea culpa al Senato l’altro giorno. Questo, tuttavia, non deve distrarci dall’osservare che l’inflazione, sino a poco tempo fa prevalentemente determinata dall’andamento dei prezzi dei prodotti energetici e agricoli, è ora sospinta da altre componenti del paniere, inclusi i prodotti manifatturieri e dei servizi. Nel complesso, la Bce stima che sia quest’anno che il prossimo l’inflazione sarà ben al di sopra del suo target del 2% (6,8% e 3,5%, rispettivamente). Lo sarà anche nel 2024 con una previsione di inflazione appena al di sopra del 2%, ma sufficiente a “scatenare” le decisioni che ieri sono state annunciate. 



Si è parlato molto nei giorni scorsi dell’ipotesi di un nuovo strumento della Bce per contenere gli spread. La Lagarde non ha fornito indicazioni precise su questo…

Con la fine della politica monetaria non convenzionale, l’attenzione torna inevitabilmente sullo spread e sulle pressioni speculative che possano interessare il nostro Paese, il cui differenziale rispetto alla Germania è tornato a crescere, attestandosi da un po’ di tempo su livelli stabilmente superiori ai 200 punti base. Su questo aspetto per noi di importanza cruciale, la Lagarde non ha fornito indicazioni precise, rimanendo molto ambivalente. In un certo senso, è comprensibile: se le avesse fornite, i mercati l’avrebbero immediatamente messa alla prova. Dai suoi interventi, tuttavia, si comprende che la Bce intende innanzitutto far leva sul reinvestimento del principal dei titoli acquistati nell’ambito dei programmi non convenzionali per mitigare lo spread laddove ce ne fosse più bisogno. L’attivazione di un vero e proprio argine viene, invece, rimandato al verificarsi di circostanze future che non sono state esplicitate.

In merito al reinvestimento del principal dei titoli: di quali cifre stiamo parlando e che grado di intervento c’è?

Occorre tener presente che la Bce, in questi anni di politiche monetarie non convenzionali, ha acquistato circa 5 trilioni di euro di titoli, equivalenti approssimativamente a un terzo del Pil dell’area. Lo sforzo è stato significativo, come pure il beneficio, soprattutto per l’Italia. Nel reinvestire il principal dei titoli che vanno a scadenza, la Bce si è ritagliata una certa flessibilità, soprattutto per i titoli acquistati nell’ambito del Pepp, il programma non convenzionale varato per contrastare le conseguenze deflazionistiche della pandemia. Tuttavia, dal linguaggio cifrato utilizzato ieri, è probabile che il Consiglio direttivo accorci, anche significativamente, la finestra temporale in cui tali reinvestimenti saranno possibili, di fatto rinviando interventi mirati sullo spread a uno strumento dedicato. Peraltro, nell’unione monetaria di diversi Paesi le cui economie sono relativamente eterogenee, tendono a generarsi pressioni speculative su quelle che presentano maggiori vulnerabilità. Per questo, un intervento stabilizzatore delle autorità monetarie è necessario. 

Questo intervento potrebbe avere una qualche forma di condizionalità, magari anche indiretta? E che con conseguenze per l’Italia?

Dalle parole in codice della presidente Lagarde nelle risposte all’impronta fornite nella conferenza stampa di ieri, lo strumento verrebbe adottato in caso di crisi o, comunque, di significativo deterioramento nelle prospettive di accesso al mercato di uno Stato dell’Eurozona. È implausibile che la Bce intervenga con un sostegno che, per lo meno nelle dichiarazioni verbali ed ex ante, deve essere potenzialmente illimitato per essere efficace senza coprirsi, anche politicamente, le spalle. In altre parole, chiederà un collegamento con altre istituzioni europee con cui dispensare e amministrare condizionalità. Il problema è quale. Se fosse il Mes, come peraltro già previsto nel meccanismo anti-spread dell’Omt introdotto nel 2012, ciò implicherebbe una seria difficoltà a utilizzarlo poiché andrebbe, prima, risolto il problema dello stigma legato proprio al Mes. D’altro canto, l’Italia è già sotto la condizionalità del Pnrr che viene scrupolosamente monitorata a Bruxelles.

Non ci si può quindi aspettare un sostegno, uno “scudo” senza qualcosa in cambio…

Direi proprio di no. A prescindere da questo, l’Italia deve andare avanti nell’implementazione del Pnrr per il quale si percepisce un affanno crescente nel Governo.

Complessivamente, come si ritrova l’Italia dopo l’appuntamento di ieri? Come può affrontare i prossimi mesi dove potrebbe esserci bisogno di altri interventi “tampone” per sostenere famiglie e imprese di fronte ai rincari dei prezzi?

Nel complesso, le decisioni della Bce erano attese e la stessa Lagarde ha voluto ribadire l’intento della Bce di muoversi secondo le aspettative degli operatori così da minimizzare frizioni di mercato. Per l’Italia, si va esaurendo un’importante fonte di sostegno legata alle politiche non convenzionali in un momento in cui le prospettive economiche si vanno significativamente deteriorando, come ribadito anche dall’Ocse nel suo rapporto appena pubblicato. Mentre la crescita del Pil si assottiglia col tangibile rischio di entrare in recessione, stanno aumentando significativamente i tassi di interesse e il costo di rifinanziamento del debito. Sarà fondamentale scaricare a terra i progetti di investimento sinora ancora nelle slide dei ministeri e conciliare interventi di sostegno con riforme strutturali dell’economia. E valutare, in questo scenario inedito, anche l'(in)utilità del Reddito di cittadinanza.

(Lorenzo Torrisi) 

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