Forse non ci si doveva aspettare di più. Forse tagliare i tassi di interesse ancora di un quarto di punto è la scelta più realistica, visto che l’inflazione scende, ma è pur sempre una tigre impossibile da cavalcare. Forse. Certo è che la decisione di giovedì scorso, l’ultima di un 2024 segnato da un prudente allentamento della stretta monetaria, è stata deludente. Si poteva fare di più e lo si doveva fare proprio guardando ai dati come ogni volta invita a fare Christine Lagarde, un mantra che sta diventando stantio.
Ebbene, guardiamoli questi dati, prendendo le proiezioni macroeconomiche diffuse giovedì scorso. L’inflazione complessiva nell’Eurolandia scende al 2,4% nel 2024, nel 2,1% nel 2025 e all’1,9% nel 2026 (fermiamoci qui perché previsioni a più lungo termine non hanno alcun senso reale). Nello stesso periodo la crescita economica sarà dello 0,7% quest’anno, dell’1,1% l’anno prossimo e dell’1,4% nel 2026. Insomma, errore statistico permettendo, stiamo attorno a un misero un per cento. Meno della metà rispetto agli Stati Uniti.
La Bce spera che tengano i consumi grazie al calo dell’inflazione, ma gli investimenti vanno giù e con essi la produttività. Dunque, la zona euro è in un territorio di sostanziale stagnazione. E c’è da chiedersi se queste previsioni tengano conto di quel che sta succedendo nell’industria manifatturiera a cominciare dall’automobile. Se sono state fatte con gli stessi criteri seguiti all’inizio dell’anno, sembra proprio di no, perché nessuno aveva previsto il crollo di Stellantis, della Volkswagen, della Bmw, della Mercedes, di Bosch, insomma i pilastri dell’auto e di gran parte dell’industria europea. Quale sarà l’impatto sull’occupazione, sui bilanci pubblici che dovranno sostenere i redditi dei lavoratori licenziati o comunque in uscita, sulla transizione industriale e ambientale?
A Francoforte è mancato il coraggio, anche se alla vigilia autorevoli governatori delle banche centrali nazionali (Italia, Francia e Spagna) avevano lanciato messaggi, moniti, auspici affinché il taglio dei tassi di riferimento fosse di mezzo punto percentuale. Il cammino è chiaro, ha risposto Christine Lagarde, tuttavia non possiamo cantare vittoria, facendo così da sponda alle posizioni di austriaci, olandesi e tedeschi i quali temono di più la crescita dei prezzi che la caduta della produzione e dell’occupazione.
Ma c’è un’altra obiezione che va fatta: ammesso che sia più prudente procedere a piccoli passi, come è stato finora, perché non annunciare le mosse del prossimo futuro? È un’indicazione venuta anche dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. Ed è il cavallo di battaglia di Donato Masciandaro, l’economista più apertamente critico sulla politica della Bce, che dalle colonne del Sole 24 Ore non smette di bacchettare la linea di madame Lagarde. “Una banca centrale lungimirante – ha scritto – avrebbe colto l’occasione per effettuare una doppia mossa: ridurre i tassi d’interesse e nel contempo annunciare le future riduzioni”. Delle due mosse quella più rilevante, a suo avviso, è la seconda.
L’idea di fondo è che la congiuntura, al netto di choc improvvisi, è guidata sostanzialmente dalle aspettative di consumatori e produttori, di famiglie e imprese. Oggi più che mai, in un ambiente senza più le regole del passato, in balia di una sorta di instabilità permanente, c’è bisogno di avere qualche certezza, almeno nel breve periodo. Si pensi proprio alla crisi dell’auto: una delle cause più immediate è una sorta di astensione dagli acquisti. Nessuno sa se ci saranno incentivi, di che tipo e quanto consistenti; non si sa quali modelli le case produttrici metteranno in vendita e a che prezzo; molti aspettano l’alluvione di auto elettriche cinesi a buon mercato e così via. Conseguenza concreta è che nessuno compra, anche chi lo deve o lo vuole fare aspetta, tenendo conto che due anni di forte aumento dei prezzi si stanno scaricando in modo consistente sul potere d’acquisto.
È un atteggiamento di attesa ansiosa che domina sul mercato in Italia e in tutta l’Eurolandia. Dalla politica monetaria, dunque, ci si aspettava che venisse quell’impulso che non può arrivare dalle politiche di bilancio. Italia e Francia sono sotto procedura d’infrazione per eccesso di deficit, la Germania è vincolata dalla regola del pareggio di bilancio che forse verrà allentata, ma ancora agisce sulla politica fiscale per il prossimo anno, la Spagna, unico Paese a crescere per davvero, ha portato il deficit pubblico al 3% e da lì non ha intenzione di muoversi. Il Governo di Madrid sta usando come stimolo alla crescita le riforme (e in parte il Pnrr) più che i sostegni monetari pubblici. Quindi tra prudenza scelta, imposta o inevitabile, il rilancio dell’economia europea non può arrivare dai Governi. Se la banca centrale non dà una mano sostanziosa le cose si mettono davvero male.
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