Alla vigilia della riunione del Consiglio direttivo della Bce che dovrà decidere, secondo le attese, se aumentare o meno il tasso di riferimento al 4,25% dall’attuale 4%, dall’economia reale arrivano segnali non positivi. L’indice PMI composito dell’Eurozona a luglio è sceso, infatti, a 48,9 da 49,9 di giugno e, secondo S&P Global, un possibile inasprimento della contrazione potrebbe spingere le aziende a rinunciare ad assumere. Inoltre, la Bank Lending Survey della stessa Bce segnala per il secondo trimestre dell’anno un’ulteriore diminuzione della domanda di prestiti alle banche da parte delle imprese che dovrebbe proseguire anche nei prossimi mesi. Come spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «che la richiesta di prestiti da parte delle imprese scenda non è un buon segno, perché significa che le aspettative sul futuro si sono un po’ raffreddate. Ma oltre ai dati che lei ha citato, credo ce ne sia almeno un altro che sconsiglia un nuovo rialzo dei tassi.
Quale?
Il disavanzo commerciale dell’Eurozona. Come confermato da Eurostat, a luglio è proseguita la diminuzione dell’export e un rafforzamento dell’euro, conseguente a un ulteriore rialzo dei tassi, non lo favorirebbe. Non si avrebbe di conseguenza un beneficio per la manifattura e l’economia europea. In buona sostanza, aumentare i tassi di interesse per l’Eurozona è come minimo problematico, a differenza degli Stati Uniti, che economicamente stanno meglio di noi.
Difficile però che la Bce non alzi i tassi dopo le dichiarazioni dei membri del Consiglio direttivo delle scorse settimane….
È così. C’è sperare che dopo il più che probabile ritocco all’insù di un quarto di punto di giovedì ci si fermi poi a settembre, anche perché diversamente si corre il rischio che si deteriori ulteriormente la situazione economica.
Non c’è il rischio che in inverno riprendano a crescere prezzi energetici trainando l’inflazione?
Questo rischio c’è e se si concretizzasse sarebbe un vero problema, perché i beni energetici rappresentano una quota importante della spesa delle famiglie. Credo che occorra in qualche modo creare un clima di ragionevole aspettativa che alcune cose vengano effettivamente realizzate.
A che cosa si riferisce?
Le uniche munizioni a disposizione sono rappresentate dalle risorse del Pnrr: occorre utilizzarle, sarebbe una tragedia se non lo facessimo. Il rischio che abbiamo davanti deve rappresentare una spinta a realizzare effettivamente gli investimenti previsti.
Se ci fosse un nuovo rialzo dell’inflazione a risentirne sarebbe soprattutto il potere d’acquisto delle famiglie.
A quel punto bisognerebbe trovare risorse per aumentare i livelli dei redditi disponibili per le famiglie. Non sarà facile, perché nei prossimi mesi si tornerà a parlare di regole fiscali e necessità di ridurre il debito pubblico. Bisognerà essere accorti e cercare di sfruttare al meglio la riforma fiscale per far recuperare potere d’acquisto agli italiani.
Se a settembre la Bce lasciasse invariati i tassi resterebbe comunque da capire quanto a lungo sarebbero tollerabili livelli così elevati, i più elevati di sempre.
Stiamo assistendo alla cosiddetta inversione della curva dei rendimenti, per cui quelli a breve superano quelli a lungo termine. Questa “anomalia” si spiega col fatto che i mercati si aspettano che i tassi saranno abbassati nel medio termine. E in effetti, ora che non sono più a zero, le Banche centrali possono tornare a fare il loro mestiere: se c’è una situazione di crisi, con un’economia molto rallentata e la disoccupazione in aumento, devono abbassare i tassi.
Anche nel caso di un’inflazione persistente?
Sarebbe più problematico, ma, a differenza di quanto avvenuto nei primi anni Ottanta, dove ci fu una stagflazione favorita dal rialzo del petrolio, oggi ci sono le risorse del Pnrr che possono aiutarci moltissimo, anche per favorire l’inizio di una fase di ripresa economica.
(Lorenzo Torrisi)
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