Da un sondaggio condotto tra alcuni economisti interpellati dal Financial Times, l’Italia risulta essere il Paese ritenuto più a rischio di una crisi del debito nell’Eurozona nel caso la Bce proseguisse, come annunciato, il suo percorso di restrizione della politica monetaria. Gli stessi analisti evidenziano che eventuali problemi al nostro Paese potrebbero spingere l’Eurotower a riconsiderare le proprie decisioni. In questi giorni Antonio Patuelli ha già rivolto un appello alla Bce affinché riveda “l’intenzione dichiarata di procedere con un nuovo aumento dei tassi già a inizio anno”, considerando che i prezzi del gas, che tanto pesano sull’inflazione, sono in discesa. Il presidente dell’Abi ha anche sollecitato le istituzioni europee e italiane ad avviare una nuova moratoria sul credito per evitare che nel 2023 tornino ad aumentare i Non performing loans che negli anni passati hanno creato difficoltà non solo alle banche.
Secondo Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, “quello di Pautelli è un suggerimento molto forte. Finora, infatti, la Bce ha agito in linea con la Fed per evitare il pericolo di un’accelerazione del tasso di inflazione. Tuttavia, se ci fosse un lieve disallineamento tra le due banche centrali ciò non rappresenterebbe un elemento di instabilità, una mancanza di coordinamento: si seguirebbe una strada diversa, ma non divergente perché l’obiettivo resterebbe comune”.
Sarebbe un disallineamento giustificato dalla natura diversa dell’inflazione e dalle condizioni diverse dell’economia?
Sì, sappiamo bene che il tipo di inflazione è diverso, ma obiettivamente la situazione sta diventando “borderline” in Europa, nel senso che c’è un crescente disagio sociale dovuto alla situazione economica. Non rallentare l’economia, e anzi contribuire a rimetterla in carreggiata, sarebbe un grande successo visto il rischio che il 2023 sia un altro anno di guerra.
C’è il rischio che si ripeta l’errore di Trichet, che nel 2008 alzò i tassi determinando una frenata dell’economia?
Trichet teorizzava una formula che io trovavo indecorosa, quella dell’austerità espansiva. Oggi abbiamo ancora sottotraccia una politica fondamentalmente di austerità strisciante, soprattutto in Paesi come il nostro, che invece avrebbe bisogno di politiche per la crescita. Finora ne abbiamo fatte purtroppo poche e i fondi del Pnrr potrebbero consentirci, visto che si tratta di risorse per investimenti, di uscire dal guado e crescere. Sarebbe meglio se a questo si accompagnasse anche quel lieve diasallineamento tra Bce e Fed di cui abbiamo parlato poc’anzi.
Un miglioramento dell’economia sarebbe importante anche per evitare che il 2023, come segnalato da Patuelli, veda una ricrescita degli Npl.
Tutte le previsioni internazionali parlano di una crescita lenta se non di una recessione per l’Italia, dunque sarebbe importante che si determinasse un quadro diverso. Se l’ondata di Covid che si sta sviluppando in Cina fosse dovuta, come sembra, a una variante del virus già nota, ciò rappresenterebbe un fattore positivo. Nel frattempo sarà per noi importante proseguire nella realizzazione e nella messa a terra del Pnrr. Non dimentichiamo che la strada della crescita è anche quella che può realmente rispondere, tramite la creazione di lavoro adeguatamente retribuito, alle difficoltà dei ceti più deboli, lasciando che i sussidi vadano a quelle categorie che davvero lo meritano.
Cosa pensa, invece, del segnale arrivato dal Financial Times sulla fragilità del nostro Paese?
Siamo guardati a vista e credo che anche su questo terreno si misurerà la capacità della Bce di prendere le decisioni migliori. Il nostro Paese ha infatti due palle al piede di cui deve cercare di liberarsi: l’evasione fisale e gli oneri per il rifinanziamento del debito. Sul primo fronte servono controlli più efficaci, visto che teoricamente tutti i dati dell’Anagrafe tributaria sono ormai a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Sul secondo, invece, va evitata l’austerità e perseguita la crescita: servono investimenti, che invece negli anni sono stati tagliati. Con il Pnrr c’è lo spazio per aumentarli.
È anche importante, quindi, come ha evidenziato la premier Meloni, che nel nuovo Patto di stabilità ci sia una golden rule per scomputare gli investimenti dal deficit e dal debito?
Assolutamente sì. Tramite gli investimenti un Paese può crescere: è una considerazione da corso base di economia e sarebbe davvero grave se non venisse riconosciuta nella nuova governance economica dell’Ue dopo tutto quello che è successo a seguito del 2008. Speriamo che la premier riesca a far accogliere questa sua richiesta in sede europea.
(Lorenzo Torrisi)
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