Non c’è solo la gratitudine per un amico, per un padre, che continua la sua strada nella Chiesa e diventa grande. Nell’apertura della prima sessione pubblica della fase testimoniale per la causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Luigi Giussani, avvenuta ieri in sant’Ambrogio a Milano alla presenza dell’arcivescovo Mario Delpini, c’è tutto il presentimento e il sospiro di un popolo – quello di Comunione e Liberazione – che esce da anni difficili e tormentati, un popolo che scorge in questo gesto della Chiesa sia un segno di conferma per la strada intrapresa, sia un potente richiamo al punto da dove tutto è partito, da quell’incontro con don Giussani che – come ha sottolineato l’arcivescovo durante la celebrazione – ha reso nuove per intere generazioni le parole antiche della Chiesa.
E lo ha fatto, ha commentato Davide Prosperi che oggi la Fraternità di CL la presiede, anche per giovani che non lo hanno mai conosciuto. A dimostrazione che il santo è colui che continua a vivere anche dopo la sua morte perché vive nella resurrezione di Cristo. E vive non come un mero ricordo, ma come una presenza che diventa più autentica, più precisa, più vera.
Per usare le stesse parole di Prosperi, don Giussani si è fatto così investire dalla fede in Cristo, dalla presenza di Cristo, da diventare egli stesso una presenza di vita per molti in ogni nazione e continente in cui la sua amicizia è sbarcata.
Quello che è accaduto in sant’Ambrogio non è dunque soltanto un evento decisivo per il processo di beatificazione del prete di Desio, ma è un fatto che assume un triplice valore simbolico. Avviene nel giorno che la Chiesa ambrosiana dedica alla festa dell’Ascensione, quaranta giorni dopo la Pasqua. L’Ascensione è la festa in cui il Verbo di Dio ritorna al Padre ormai completamente investito e costituito dalla natura umana: si potrebbe dire che in questa festa si celebra la pienezza dell’Incarnazione, la pienezza della presenza di Cristo nella storia.
Questa concomitanza, dunque, fa capire come la santità non sia un ritirarsi dalla storia, un dedicarsi alle cose eteree e intellettuali, ma la pienezza di presenza dentro la storia. Comunione e Liberazione è un movimento che è sorto come stupore per la presenza di Cristo nei luoghi dove la vita pulsa, dalla scuola alla fabbrica, dall’ufficio alla politica: Egli è pienamente presente ed essere santi significa riconoscere a tal punto quella presenza da esserne testimoni in ogni ambiente.
Ma l’avvio della fase testimoniale è stato anche un evento di popolo. Ad indicare che non esiste santità, e non esiste movimento, senza unità, senza comunione, senza il popolo. Il carisma di Giussani non è un carisma individuale, un dono che ciascuno prende e si porta in cameretta, ma è un gesto di gratuità che proviene da Dio per suscitare in ogni storia e in ogni angolo della storia una presenza di comunione. Non esisterebbe Giussani se non esistesse il suo popolo e non esisterebbe quel popolo se ci si allontanasse dall’intuizione e dallo sguardo di Giussani.
Infine, non meno importante delle altre due, la giornata di ieri ha portato con sé un prezioso insegnamento di metodo: chiedendo di aprire la causa di beatificazione di don Giussani, il movimento di Comunione e Liberazione ha accettato di consegnare alla Chiesa gli scritti, le parole e gli incontri che don Giussani aveva fatto. Passato quasi in secondo piano nella vita comunitaria, quel gesto compiuto anni orsono è stata una preziosa scommessa: la scommessa che solo donando alla Chiesa quello che si aveva ricevuto, fosse possibile che quel dono tornasse indietro più grande e più vero. Perorando la causa della santità di don Giussani, CL ha esplicitamente detto di aver bisogno della Chiesa, di aver bisogno dello sguardo e della forza della Chiesa per poter godere con più verità del dono ricevuto.
La Chiesa ha preso tremendamente sul serio questa scommessa e ha chiesto al movimento passi importanti, a volte difficili, carichi di interrogativi. Ma oggi è chiaro che è stato proprio quel consegnarsi, quell’affidarsi alla Chiesa a permettere che tutta la strada fatta torni indietro più vera, più grande e più libera di prima. Non è solo un causa di beatificazione quella di don Giussani: è il cammino di purificazione di un popolo, è il cammino di conversione di ciascuno. Per questo ad ogni fase è una festa. Perché in fondo tutti sono consapevoli che, con il gesto di ieri, si apre una fase ulteriormente nuova nel cammino del movimento, una fase che consolida i passi di questi ultimi anni e chiede a tutti, come fa Dio con Samuele nella Bibbia quando è tolta la corona a Saul, di smettere di piangere, di smettere di rivendicare, di smettere di rimuginare.
Tutta la strada fatta in questi diciannove anni trascorsi dalla morte di Giussani è strada di bene, strada di grazia, strada di libertà. E riconoscere la santità del don Giuss è il miglior modo per ritrovare quell’unità, quella certezza e quella consapevolezza che ci fa dire: “Questa è la nostra casa, questa è la strada”. La strada di un Mistero che ci ha presi, ci ha portato in un’avventura che è appena iniziata e che passa per sant’Ambrogio, per quel grazie a mons. Delpini e a papa Francesco che è il grazie di una vita toccata, sconvolta e amata da Uno che non sappiamo chi era. Da uno che, nel volto di Giussani, abbiamo scoperto che si faceva chiamare Gesù.
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