Beatrice Venezi, direttore d’orchestra, ha preso la parola sulle colonne del quotidiano “Libero”, affrontando un discorso ad ampio raggio sulla musica, a cominciare da quella che viene insegnata alla scuola dell’obbligo: “Non solo la scuola, bensì la nostra cultura, il nostro sistema Paese la sottovaluta. Faccio fatica a capire il meccanismo per il quale nella nostra società gli artisti non hanno mai il valore che meritano. L’importanza dell’identità culturale da noi non è considerato un valore fondamentale. Il problema dunque non comincia dalla scuola ma viene da più lontano”.
Immaginando di poter agire sui programmi ministeriali, da dove comincerebbe a mettere mano Beatrice Venezi? “Insegnare uno strumento è senz’altro formativo, ma non è l’unica strada. Quando seguivo le ore di storia dell’arte leggevo le opere, mentre l’ora di disegno era una tortura. Immagino sia la stessa cosa per la musica: non tutti sono portati e invece a scuola non si spiega la differenza tra un brano romantico e uno classico oppure quali strumenti stanno suonando, a riconoscerli e distinguerli. I programmi ministeriali si fermano agli inizi del ‘900 ed è un peccato, perché ci sono storie davvero interessanti. Il ‘Poema sinfonico per 100 metronomi’ di Ligeti è arte concettuale, John Cage è il precursore degli attuali dj. Insomma, la contemporaneità offre tanti spunti”.
BEATRICE VENEZI: “LA MUSICA POP DI OGGI SI È MOLTO SEMPLIFICATA”
Dopo il Covid, Beatrice Venezi ha sottolineato su “Libero” che non è cambiata la maniera di fare musica, però “si assiste a una contrazione dei tempi nei concerti, si preferisce il tempo unico senza intervallo. E purtroppo registro un po’ di lassismo in alcune orchestre, come se si volesse fare di meno. Il problema vero, semmai, riguarda il pubblico avanti con l’età, che ha ancora paura di uscire e condividere gli spazi. Ecco, la musica dal vivo dovrebbe coinvolgere una generazione più giovane e ampia”.
Le strutture del pop di oggi, invece, “si sono molto semplificate e sono dunque lo specchio della nostra società. Negli anni ’90 i brani duravano 5 minuti, nei ’70 con il progressive arrivavano anche a 10, oggi non più di 2 e mezzo, la struttura è molto semplice, formata da strofa e ritornello, riflesso della drammatica semplificazione attuale. Abbiamo bisogno invece di un pensiero più complesso, di affrontare le difficoltà”.