La tenacia di Bebe Vio, di nuovo campionessa paralimpica, assunta a icona nazionale del riscatto di ogni forma di disabilità, non sarebbe comprensibile se non alla luce del desiderio di vita che la abita e che l’atleta non smette di affermare e raccontare. Non un desiderio banale: la nostra società ipocrita spesso – per amore di favola – dimentica il dolore fisico con cui la giovane quotidianamente convive, esaltando un desiderio e una voglia di vivere che poco avrebbe a che fare con il sacrificio, la fatica e le lacrime. È la stessa Bebe ad accennarne in uno dei suoi ultimi post su Instagram:
“Se qualche settimana fa mi avessero detto ‘A Tokyo vincerai due medaglie’ mi sarei messa a ridere. Due medaglie… Per quanto ero messa male consideravo già un miracolo arrivarci a Tokyo. Ma volevo arrivarci. Venivo da un anno di alti e bassi. Il grave infortunio al gomito a settembre dell’anno scorso, dolorosissimo. I lunghi mesi di riabilitazione. Finalmente stavo meglio. Poi ad inizio anno il crollo: Infezione da stafilococco aureo. Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di tanti anni fa. Ero messa proprio male e quando mi hanno detto ‘se l’infezione è arrivata all’osso dobbiamo amputare l’arto’ mi è crollato il mondo addosso. Basta amputazioni! Non mi è rimasto più molto da tagliare…”.
Invece la storia clinica di Bebe è andata per il meglio, l’infezione sconfitta e Tokyo di nuovo dietro l’angolo. La campionessa ascrive il merito di tutto questo ai medici, agli amici, ai famigliari e conclude “Ora sono felice. Stanca, ma soddisfatta e felicissima… quanto n’è valsa la pena!”. È chiaro che s’intravede un altro merito in questa storia, ed è quello del suo desiderio che ha creato storia, energia, volontà.
Per tutti, credenti e non, il successo di Bebe Vio ci regala tre piccole verità: non c’è desiderio che non affondi le proprie radici nel bisogno dell’uomo. È il bisogno di Bebe Vio a generare il suo desiderio e quel bisogno viene da molto più lontano di lei, da Qualcos’altro con cui Bebe non ha mai smesso, a modo suo, di essere in rapporto. Il desiderio, tuttavia, va custodito, va accettato e va fatto sedere accanto al dolore. Il dolore non è la negazione del desiderio, ma – come la fatica e il sacrificio – ne è il custode.
Infine, nota assolutamente più importante e controcorrente, la vita di Bebe Vio è lì a mostrarci che nessuno può decidere quando la vita valga la pena di essere vissuta, che non si possono applaudire i paralimpici e poi chiedere che esistano leggi che diano a chicchessia il potere di decidere quando e come sopprimere una vita. La vita non è il canonico corpo che tutti conosciamo, non sono le consuetudini che tutti abbiamo in mente, non sono i nostri stereotipi duri a morire. La vita è un Mistero. E uno dei nomi di quel Mistero è proprio quello di Bebe Vio.
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