Docu-serie tv di Netflix con protagonista David Beckham, quattro puntate con durata di 70 minuti ciascuna. Prodotto voluto dall’ex calciatore che è produttore esecutivo insieme all’amico Gary Neville. Vi si narra la sua vita da quando era bambino fino ad ora.

Un’avvertenza: questo prodotto non è solo la rievocazione delle imprese calcistiche, per capirci non è Sfide, mitico programma della Rai, si ha l’impressione sia un rilancio della figura di Beckham attuale. Considerate che nel 2022 è andato in streaming su Disney+, David Beckham: Squadre da salvare, dove faceva da mentore a una squadra dilettante di giovanissimi; aggiungete che da poco è testimonial di una macchinetta per caffè e da maggio di un fornitore di abbigliamento sportivo. Sicuramente un’azione di marketing ben congegnata per esaltare il brand DB, che comunque non era scivolato nel dimenticatoio: la sua holding commerciale, come quella della moglie, è molto attiva.

Al netto di questo gustatevi tutto l’aspetto sportivo e umano della docu-tv. Beckham racconta se stesso, le sue vittorie calcistiche e non, le sue sconfitte intime e umane. Un mix ben dosato tra le vicende personali e le imprese sportive che comunque prevalgono.

Costruita molto bene, sia sotto l’aspetto autoriale, emotivo e tecnico. Si parte nella prima puntata con Beckham in scafandro e tuta da apicoltore nella sua tenuta, ma si passa subito al gol da metà campo nella prima di campionato del 1996. Fenomenaleee.

E poi inizia il racconto della sua vita calcistica, giovanissimo, allenato dal padre nel giardino di casa, la telefonata del Manchester Utd, l’esordio nel 1992 a diciassette anni, il primo gol nel 1994.

C’è  Beckham in prima persona che si racconta, gli interventi brevi ma efficaci della madre e del padre con le 1.400 videocassette del ragazzino e del campione, la moglie Victoria, i compagni Rio Ferdinand, Eric Cantona, Paul Scholes, Solskjaer, Roberto Carlos, l’amico fraterno Gary Neville. Poi arriva chi lo ha valorizzato e lanciato, il grandissimo Alex Ferguson, allenatore dedito al lavoro, a cui non piaceva la vita glamour e pop dei calciatori. David riconosce gratitudine al boss, così lo chiama, per essere stato il suo mentore e non solo. Le cose pian piano poi cambieranno. Comunque il Manchester negli anni di Beckham vince sei Premier, due FA Cup, due Supercoppe inglesi.

Il 1998 è un’annata buia, per la squadra, non si vince nulla, ma per il nostro è ancora peggio. Mondiali di Francia, Inghilterra-Argentina, fallo di reazione del biondo su Diego Simeone, viene espulso e tutta la stampa e i tifosi lo massacrano. El Cholo oggi con pacatezza afferma che l’aveva provocato e che non era da espellere. Da qui in poi si deprime, brutto periodo, ma la famiglia, la Spice e Ferguson gli stanno vicini.

Nasce il suo primo figlio, un passo importante e si rivitalizza. Incontra l’Inter con di nuovo El Cholo e, su due suoi cross,  gli inglesi rifilano due pere alla mia Benamata. Bentornato Beckham.

Il 1999 è l’anno dell’apoteosi: il treble, el triplete… come l’Inter. Finale di Champions League del 1999 con il Bayern Monaco. Al primo minuto  di recupero, con il Manchester sotto di un gol, dal calcio d’angolo di Beckham scaturisce il pareggio. Al minuto 93 ancora lui dall’angolo e Solskjaer insacca il gol della vittoria. Da rivedere questi emozionanti minuti su Youtube con la telecronaca di Sandro Piccinini, da pelle d’oca.

La sua fama cresce insieme alle richieste di partecipazioni pubblicitarie, Ferguson s’indispettisce (ma era stata una strada che si era avviata dall’incontro con Victoria) e si arriva allo scarpino sul bel viso del biondo con tanto di due punti di sutura. Oggi i due protagonisti stemperano e sorridono. A questo punto il calciatore viene invitato ad andarsene e sceglie il Real Madrid di Zidane, Ronaldo, Roberto Carlos e Figo. Abbagliato dall’offerta spagnola si trova a giocare dietro a Figo, ma sia in campo che nella sua vita familiare si arena.

Passa poi ai Los Angels Galaxy, Stati Uniti, si risveglia, da qui nelle pause americane al Milan e infine al Paris Saint-Germain. In tutto questo c’è la nazionale inglese con Hoddle e Fabio Capello.

Ho sintetizzato sennò non finiamo più.

Le immagini sportive son proprio montate bene con molti inediti. Ne esce una figura di un ragazzino che cresce, che raggiunge il successo, compie degli errori, si riprende, va avanti e diventa uomo. Aiutato dalla famiglia e dagli amici. Un po’ uno spottone anche per Victoria.

Ma se siete amanti del calcio gusterete tutto, sfrondate un po’ il gossip e l’idea di brand che dicevo inizialmente, concentratevi sugli eventi sportivi e sul lato umano di Beckham.

Albert Camus amante del calcio diceva: Ho capito subito che la palla non arriva mai da dove te l’aspetti. Mi è servito più tardi nella vita.

Penso che Camus abbia ragione, ma ho visto dal vivo Maradona, Beckham, Ronaldo (il Fenomeno), Ronaldinho, Messi e sull’affermazione dello scrittore, limitandola al rettangolo verde, ho i miei dubbi.

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