Un mese fa ci preparavamo alla festa di Pasqua. Un mese fa un ragazzo di quattordici anni, a Belgrado, iniziava i preparativi per la strage realizzata ieri mattina nella sua scuola. Piantina dell’edificio studiata nei minimi dettagli, elenco dei compagni da eliminare, tempistiche, arma sottratta al padre. Un piano pensato e realizzato.
Impossibile e insopportabile attardarsi sulle colpe, sulle chiacchiere, sui luoghi comuni. Più interessante riandare a un altro piano, pensato e realizzato duemila anni fa. “Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la vittima di Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: ‘Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare’. Gli chiesero: ‘Dove vuoi che la prepariamo?’. Ed egli rispose: ‘Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua. Seguitelo nella casa dove entrerà e direte al padrone di casa: Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà una sala al piano superiore, grande e addobbata; là preparate’. Essi andarono e trovarono tutto come aveva loro detto e prepararono la Pasqua” (Lc 22,7-13).
Pietro e Giovanni si sono ritrovati protagonisti e compagni di una storia che, misteriosamente, ha afferrato qualsiasi altra storia, persino quella delle vittime di Belgrado, del ragazzo che ha ucciso quei suoi compagni, dei genitori, degli insegnanti. Un piano per far fuori vinto da un piano per far vivere.
Forse a Kosta K. (così si chiama il ragazzo) sarà sembrato un giorno come gli altri al poligono di tiro con il padre. Oppure avrà avuto la sensazione di essere davanti a uno di quei videogiochi dove basta fare una lieve pressione sullo schermo per scatenare una guerra. Chi lo sa. Una cosa sappiamo: o Kosta può essere strappato al suo gesto, oppure neanche noi possiamo vivere sperando di non essere la somma dei nostri errori. E chi ci strapperà dai nostri errori, dai nostri mondi immaginari, dalle nostre maldestre iniziative coi figli, dalla nostra smania di potere? Solo Uno che è stato strappato alla morte.
Non c’è male escogitato, non c’è follia realizzata, non c’è odio assecondato che non sia stato messo a tacere da quel piano di duemila anni fa, studiato nei minimi dettagli e pensato dall’eternità, in cui Cristo, donandosi, ha ridato noi a noi stessi.
Il segreto di questo piano l’ha svelato il Papa sabato scorso ai giovani ungheresi: “Nel Vangelo Lui, che è il Maestro, prima di dare risposte, fa domande. Penso a quando si trova davanti quella donna adultera contro cui tutti puntavano il dito. Gesù interviene, quelli che la accusavano se ne vanno e Lui rimane solo con lei. Allora con delicatezza le chiede: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?’ (Gv 8,10). Lei risponde: ‘Nessuno, Signore!’ (v. 11). E così, mentre lo dice, capisce che Dio non vuole condannare, ma perdonare. Mettete questo nella testa: Dio non vuole condannare, ma perdonare. Dio perdona sempre”.
Vengono alla mente altre parole, eco di queste, pronunciate anni fa come un tuono in piazza san Pietro a Roma: “Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo” (don Luigi Giussani).
Lasciamo che Dio riprenda ancora una volta, con ciascuno di noi, il suo piano.
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