La notizia è di quelle che avrebbero fatto dire al Carducci “Un dopo l’altro i messi di sventura”. Fantastica proposta di legge della sinistra: “Bella ciao” secondo inno nazionale dopo l’inno di Mameli. Un’iniziativa di cui si sentiva da tempo la necessità come di un terzo buco nel naso.
Sì, perché “Bella ciao”, lo si è detto sino alla nausea, non venne cantata durante la Resistenza: pochissimi la conoscevano. La vera canzone partigiana era “Fischia il vento” con le parole di quell’autentico eroe che fu il comunista Felice “u’megu” (il medico) Cascione, ma il testo era troppo politicamente schierato per diventare un inno nazionale. E poi c’erano altri inni come quello della divisione “Cichero”, immediato e combattivo. “Sciu pe’i munti e zu inte e valli, in mezu a e rocche inte buscagge, a u criu de ‘sutta a chi tucca!’ ì sciurtiva i partigen”.
Il punto è che non c’è mai stato un inno partigiano per tutta l’Italia perché ogni banda era legata alla propria territorialità. “Bella ciao” fu, per così dire, “portata al successo” dal Partito comunista nel primo dopoguerra e non c’è nulla di male in tutto ciò. E chi scrive ricorda che Yves Montand la cantava in un modo ancora oggi splendido e commovente.
Oggi, però, la canzone è nota perché cantata nelle manifestazioni o in fiction noiose (e perciò di successo) come La casa di carta, diventando un successo a livello europeo in una specie di provincialismo di ritorno che sottolinea il poco spessore culturale di questa sinistra.
Il problema è che un secondo inno nazionale c’è già da quasi ottant’anni ed è “La canzone del Piave” composta da E.A. Mario. Un inno composto nell’estate del 1918, cantato da tutti soldati italiani da Sondrio a Siracusa, e che ricorda una vittoria sensazionale e una capacità di resistenza e di resilienza degli italiani quasi impensabile oggi. Chi ha avuto la fortuna (sì, la fortuna!) di fare il servizio militare l’avrà ascoltato almeno una volta e le prime note sono ancora e sempre commoventi, e lo si può dire senza timore di esser tacciato di fascismo poiché “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52 Cost.). L’unico articolo della Carta in cui viene proclamata la sacralità di un dovere civico.
In definitiva la sinistra cerca di imporre la propria interpretazione della storia secondo la quale la Resistenza fu quasi del tutto compiuta da partigiani social-comunisti. Ebbene, anche nel momento di maggiore espansione (aprile 1945) le brigate Garibaldi a guida comunista costituivano circa la metà degli effettivi partigiani: ma mentre nelle brigate “Giustizia e Libertà”, cattoliche, autonome e monarchiche di comunisti non ve n’erano, nelle “Garibaldi” i non comunisti erano davvero tantissimi. Questo se prendiamo solo il movimento resistenziale armato. Se osserviamo le altre componenti della Resistenza il quadro diventa sorprendente: le forze armate italiane nell’esercito del Sud era composte sicuramente da militari monarchici e rilevante doveva essere la presenza moderata tra i militari che combattevano all’estero in Jugoslavia o tra i 600mila Internati militari italiani (Imi) che preferirono restare nei lager nazisti piuttosto che arruolarsi nell’esercito della Repubblica Sociale. E se consideriamo una quinta componente, quella della resistenza disarmata che ha salvato migliaia e migliaia di persone e che ha dato migliaia di martiri e di santi, vedremo che la gran parte di essa era formata da religiosi e laici cattolici che col comunismo non avevano nulla da spartire.
“Ohibò! – si dirà – ma allora la Resistenza è stata davvero un’epopea di tutti gli italiani e non solo di un parte politica!”. Più volte ho avuto modo di ribadire il concetto su queste pagine ma senza grandi risultati. Ne è prova il fatto che, ogni volta che si sente cantare “Bella ciao”, la Destra si inalbera e imbizzarrisce come i cavalli di frau Blucher in Frankenstein junior. Una patetica dimostrazione di pochezza culturale di fronte a una sinistra che si è appropriata indebitamente della Resistenza così come il fascismo si era appropriato (altrettanto indebitamente) della Grande Guerra. Ma la grande domanda da fare a Salvini, a Berlusconi, a Giorgia Meloni è questa: se voi aveste di fronte Filippo Maria Beltrami, i fratelli Alfredo e Antonio Di Dio, Franco Balbis, Aldo Gastaldi “Bisagno”, Enrico Martini “Mauri”, i fratelli Paola e Renato Del Din, Giancarlo Puecher Passavalli o Giuseppe Cordero di Montezemolo cosa avreste loro da dire? Anche ammesso che si conoscano queste figure straordinarie, pensate davvero di poterli rappresentare? E il loro lascito, il loro esempio da chi è stato raccolto? Domande sinora senza risposta.
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