Tra i grandi maestri contemporanei del cinema d’animazione giapponese, Mamoru Hosoda è uno di quelli più abili nel mescolare la dimensione quotidiana della vita con la sua trasfigurazione fantastica, soprattutto attraverso il nucleo familiare (da Summer Wars fino a Mirai). Il suo nuovo film, Belle, presentato alla Festa del cinema di Roma e in uscita a gennaio dopo il grande successo in patria, sembra cambiare un po’ le carte, alzando il tiro dal punto di vista produttivo e abbassando, forse, le ambizioni artistiche.



Il film racconta di Suzu, una ragazza che dopo la morte della madre si è un po’ isolata, faticando a trovare il contatto con gli amici e le sue passioni, fino a quando scopre U, un social network che permette di crearsi una vita e un mondo paralleli e diventa Belle, una cantante affermatissima. L’arrivo di un drago in quel mondo rimette in discussione ogni certezza.



Belle, di cui Hosoda è anche sceneggiatore, è fin dal titolo una versione iper-contemporanea di La bella e la bestia nel mondo virtuale di Ready Player One, un’avventura fiabesca in cui la commistione tra realtà e visione è esplicita fin dalla trama, nello scontro tra la timidezza di Zuzu e la popolarità globale di Belle.

Su un impianto da serie adolescenziale per un pubblico femminile (qualcuno infatti vi ha trovato, a ragione, riferimenti a L’incantevole Creamy), Hosoda cerca di raccontare le difficoltà psicologiche dei ragazzi, le pressioni sociali di cui la scuola giapponese, ma non solo come abbiamo visto in Caro Evan Hansen, è catalizzatrice e descrive le comunità virtuali e i social media come un modo per cercare di superarle, di creare delle bolle in cui i ragazzi possano sentirsi protetti.



Il vero limite del film – per chi scrive, il meno bello e interessante di quelli realizzati da Hosoda – sta proprio in questa sua semplice trasparenza che in più di un’occasione scolora nella banalità, nella trovata facile per creare emozione: agli stereotipi del genere e alle soluzioni di comodo nella risoluzione dei conflitti degli intrecci, Belle cede spesso, cercando di accattivarsi le simpatie degli spettatori, ma non andando mai davvero a fondo, soprattutto nella definizione di quei contesti ordinari dietro la meraviglia che, appunto, erano alla base dei suoi film migliori.

Realtà e fantasia si fronteggiano in un modo standard, trovando il modo di coinvolgere il pubblico grazie alle canzoni e al sontuoso apparato visivo del mondo di U, ma senza vere invenzioni grafiche o creative. È un buon film medio, rispetto al panorama di anime “d’autore”, ma un passo indietro rispetto al livello dei film di Hosoda, capaci altrove di dare del Giappone uno sguardo raffinato e originale che qui invece sembra pensato per confermare i pensieri di chi quella nazione la guarda da lontano.

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