Andrea Belotti, attaccante della Roma e della Nazionale italiana, mentre attende di capire il suo destino all’interno del club calcistico, ha deciso di raccontarsi con una lettera autobiografica rivolta al sito Cronache di Spogliatoio e citata dalla Gazzetta.

Ci ha tenuto a ricordare il suo punto fisso nell’infanzia e in tutta la vita, guida spirituale e, per un certo vero, primo “Mister” del calciatore, Don Sergio, il parroco di Calcinate dove il calciatore è cresciuto.



Belotti ricorda che in quell’oratorio in cui ha tirato i primi calci ad un pallone, “c’era sempre qualcuno che giocava. La domenica, appena finito il catechismo, andavamo in Chiesa per la benedizione. E poi in campo, anche per 3-4 ore”. In quelle giornate, ricorda “facevo il chierichetto, i miei genitori mi hanno trasmesso fin da piccolo la fede. È un qualcosa che da sempre vive dentro di me”. E Belotti ci tiene anche a fare una piccola confessione, “ho due idoli. Il primo è Giovanni Paolo II, nessuno ha fatto quello che ha fatto lui. Il secondo è Don Sergio: [che] mi ha trasmesso quei valori che reputo fondamentali”.



Belotti: “Ecco perché mi chiamano Gallo”

Un’altra cosa, però, ha accompagnato Andrea Belotti lungo tutta la sua carriera calcistica, ovvero il soprannome di Gallo. Nella lettera, raccontando il perché di questo soprannome, confessa che “il mio amico Juri aveva un bar [e] giocava a calcio. Quando segnava esultava con la cresta”. L’attaccante giocava all’Albinoleffe e l’amico gli disse: “Se segni promettimi di esultare con la cresta in mio onore’. Faccio gol e mimo la cresta, ma Juri è entrato in ritardo”, racconta.

“Ho sempre reso felice il mio paesino con i gol”, racconta ancora Belotti raccontando la sua storia. “Dopo ogni rete mia nonna portava al campo pane e salame e finita la partita, tutti correvano in tribuna per mangiare. Tranne io che dovevo farmi la doccia e quando arrivavo era finito tutto. La mia famiglia ha sempre cercato di alleggerirmi i momenti: belli o brutti che fossero. Come nell’estate dei cento milioni, il mio nome era ovunque”. E Belotti chiude con una promessa, “questa lettera voglio terminarla su un altro foglio. Ci scrivo una promessa: se a fine stagione riuscirò a esaudirla, la mostrerò“.