La parola di Benedetto XVI fa sempre rumore. Non soltanto perché dal 28 febbraio 2013 la dimensione propria di Joseph Ratzinger è il silenzio e quindi, ogni volta che sceglie di romperlo, ogni suo sospiro gode di un peso specifico profondamente diverso da quello di tutti gli altri attori della scena pubblica. Egli è, non dimentichiamolo, il più grande teologo cattolico vivente, l’ultimo discendente di una stirpe di studiosi che ha attraversato il novecento portando Dio sulle proprie spalle, donandolo e riconsegnandolo agli uomini del terzo millennio senza esitazione, con umiltà e abnegazione.



E se questo non bastasse, il mite pensatore bavarese si è spesso intestato il titolo di abate, di padre Benedetto, in quel gioco di parole che lo pone alle radici dell’Europa Occidentale e lo fa diventare la coscienza e la memoria del nostro tempo.

Per questo trascinare un siffatto uomo nel gioco dei due papi, nel turpiloquio dei politicanti che girano diabolicamente le loro carte cercando di arginare l’altro pontefice, non solo è grottesco e disdicevole, ma rischia di essere sonora mancanza di rispetto a lui e a quel successore scelto dal medesimo Spirito che non ragiona secondo le dinamiche orizzontali di vincitori e vinti, ma in una prospettiva che trascende gli ingranaggi del mondo in favore della battaglia per l’unico terreno che conta: il cuore dell’uomo.



Questo cuore è stato fatto per Cristo. La verginità di vita, scelta e vissuta, non è altro che segno, richiamo, profezia dell’unico bene che può portare letizia e compimento all’animo umano. Quando questa verginità diventa forma celibataria – il celibato infatti non è semplice astinenza sessuale, ordinario esercizio di castità o definitiva dedicazione della propria vita a Cristo nella comunione della Chiesa, ma è molto di più: il celibato è scegliere Cristo come presenza sponsale – la vita di tutti i giorni diventa caparra della vita che è stata promessa a tutti gli uomini e le donne che rischieranno la loro vita su di Lui, nel riconoscimento e nella sequela della Sua Misericordia.



La Chiesa latina, lungo i secoli, ha scelto di individuare i suoi sacerdoti tra coloro che abbracciano la vita celibataria, una vita che ha senso al di fuori del sacerdozio e di cui poco si parla. Meriterebbe più spazio la vita e la scelta del celibe nella riflessione teologica e omiletica, perché è tra coloro che vogliono questa vita che la Chiesa ha deciso di cercare i propri sacerdoti. Per difendere questa scelta Benedetto XVI ha preso la sua autorità e l’ha giocata in un libro scritto a quattro mani con il cardinale Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, suscitando aspre polemiche sull’opportunità di un simile intervento alla vigilia dell’Esortazione post-sinodale che Francesco dovrà pubblicare in conseguenza del Sinodo sull’Amazzonia e al cui centro non sta una disamina sul celibato, ma un’analisi attenta del nostro tempo in cui la Chiesa si confronta con le problematiche di una terra e con le linee pastorali che ivi emergono.

È chiaro, dopo quanto detto sul celibato, che Benedetto – dinnanzi ad improvvide fughe in avanti sul tema – non poteva non scrivere e non ribadire circa la posizione tradizionale della Chiesa ed è altrettanto chiaro che se avesse scritto dopo l’Esortazione Apostolica del Papa avrebbe allora certamente dato l’impressione di voler fare il controcanto al pontefice su un tema – è bene dirlo – su cui Francesco non dirà nulla di più di quanto la Tradizione già non tramandi e non raccomandi.

Che un uomo come Benedetto abbia voluto intervenire su una vicenda così dirimente non stupisce, che lo si prenda per usarlo come un ariete verso colui che tra qualche settimana ribadirà le medesime cose è invece malevolo ed equivoco. È in corso nella Chiesa una provvidenziale resa dei conti con la propria storia e con il modo con cui la Chiesa si è posta dinnanzi a certi temi: più che una difesa del celibato – che nessuno mette davvero in questione – ciò di cui oggi si sente maggior bisogno è una seria riflessione sulla sessualità e sul piacere, sul modo con cui la dottrina li ha guardati e compresi. Le finte guerre fra pontefici magari fanno vendere. Di sicuro, per le cose che davvero contano, fanno solo perdere tempo.