BENEDETTO XVI E LA CHIESA TEDESCA: “VENNE OSTEGGIATO MA…”
“Rottweiler di Dio”, “il Cardinale corazzato”, “Il Pastore tedesco”: Benedetto XVI è stato osteggiato e contrastato non da pochi durante il suo Pontificato, tanto in Italia quanto in Germania (anche se non sembra a vedere l’enorme dimostrazione di affetto e vicinanza in questi giorni dopo l’annuncio della morte avvenuta lo scorso 31 dicembre). Eppure quel Cardinale divenuto poi successore di Giovanni Paolo II al Soglio Pontificio era tutto l’opposto di una “rigidità” arida e ferrea della dottrina: lo spiega bene lo scrittore Martin Mosebach in un lungo articolo oggi sul “Die Welt”, nel disegnare il profilo del Papa Emerito Joseph Ratzinger tanto contestato dai vertici della Chiesa tedesca quanto invece amato dai fedeli. «Non vedeva la tradizione della Chiesa come una merce di scambio di cui disporre in base alle convenienze politiche del momento»: un sacerdote e un vescovo cauto e gentile, l’esatto opposto di come viene dipinto dai detrattori storici presenti in larga parte nella Conferenza Episcopale tedesca.
«Semplicemente non si sottraeva al suo dovere di ricordare alla gente che non aveva l’autorità di cambiare gli insegnamenti della Chiesa», ma questo venne “scambiato” – con grande opera di malafede – per ideologica intransigenza o addirittura opposizione alla comunicazione di un Cristianesimo più “docile”. Nulla di più falso, come sottolinea ancora lo scrittore tedesco sul “Die Welt”: «Benedetto XVI vide il suo compito come quello di esortare i vescovi e i teologi tedeschi, che avevano ceduto all’attrazione del protestantesimo con notevole ritardo, a mantenere l’unità con la Chiesa universale. I media tedeschi, che lui stesso ha definito “pronti a saltare”, hanno coltivato un’avversione per il suo pontificato»: accusato di essere un “elitario”, Ratzinger invece scatenò una ondata di conversioni e vocazioni al sacerdozio in Germania (e non solo) che “cozza” con la narrazione di un Benedetto XVI nemico della modernità. «I suoi amici spesso non capivano perché si astenesse dall’usare il potere concentrato nel suo ufficio e non governasse deliberatamente con ordini. Ma egli voleva affidarsi unicamente alla “forza gentile della verità“, senza la quale ogni riforma della Chiesa sarebbe stata costruita sulla sabbia», spiega Mosebach.
CONCILIO E PEDOFILIA, LE BATTAGLIE DI BENEDETTO XVI E L’IRRICONOSCENZA
Dal Concilio Vaticano II alla battaglia contro la pedofilia nella Chiesa, Benedetto XVI sempre rappresentare non solo sul fronte teologico un’autentica opera di universalità mantenendo la “barra dritta” sull’ortodossia e al tempo stesso un’incredibile apertura alla modernità e alle sfide che ogni giorni la Chiesa doveva intraprendere. «Non c’era quasi nessuna richiesta dell’odierno blocco progressista nella Chiesa che non fosse stata sollevata a quel tempo, anche se fu tenuta in gran parte fuori dai documenti finali. Le rivolte del 68 scatenarono una profonda crisi di autorità in tutto il mondo. Ora colpiscono anche la Chiesa post-conciliare», spiega lo scrittore tedesco identificando con Papa Ratzinger l’uomo che dal di dentro del Concilio seppe combattere l’idea di un “Superconcilio” in aperta opposizione con quelli precedenti. «A questa “ermeneutica della rottura” il cardinale Ratzinger opponeva una “ermeneutica della continuità“, non perché fosse un ansioso conservatore, ma perché vedeva la Chiesa legata alla rivelazione ricevuta e alla tradizione dei primi martiri e padri», rileva ancora bene l’autore sul “Die Welt”.
Elemento cruciale che occorre far capire bene ai vari “sordi” che ancora oggi ritengono Ratzinger un mero “rottweiler” della Chiesa Cattolica: il fatto che la Santa “sposa di Cristo” fosse sempre da riformare non significava affatto che ci si dovesse costantemente adattare allo “standard sociale del momento”, ma l’esatto opposto, «si doveva sempre doveva sempre riprendere le misure dal proprio Fondatore», ovvero Gesù stesso. Modernità è l’imitazione di Cristo incarnata nella realtà contemporanea: «La Messa, l’elemento più importante della Chiesa visibile, aveva perso la sacralità del mistero sacrificale ed era stata adattata alla sobrietà della celebrazione di un pasto protestante. Senza che il magistero della Chiesa modificasse la teologia della Messa, gran parte dei fedeli aveva perso la convinzione della presenza fisica di Gesù nelle offerte trasformate di pane e vino. Papa Benedetto XVI trovava intollerabile che un rito che aveva costituito l’identità della Chiesa nel corso della sua storia e aveva dimostrato la sua forza apostolica nella missione mondiale fosse ora sospettato. Se è vero che la Chiesa è sempre rimasta fedele a se stessa attraverso tutti gli sviluppi storici e non si è mai contraddetta, allora lo strangolamento della liturgia tradizionale ha creato una ferita nel corpo della Chiesa che ha dimostrato che essa ha davvero rotto con il suo passato dopo il Vaticano II», rileva ancora Mosebach nel suo lungo articolo. Dopo le dimissioni “choc” del 2013, Benedetto XVI dovette subire secondo lo scrittore tedesco «il crudele destino di vedere i suoi progetti più importanti messi da parte e i suoi più fedeli collaboratori ostracizzati»: su tutti, il tema della pedofilia dopo che fu lui per primo a prendere sul serio la lotta contro gli abusi operati da sacerdoti cattolici. Addirittura ora è Ratzinger a trovarsi sospettato dai suoi «nemici tedeschi di aver coperto lui stesso gli abusi clericali. Sperimentò le conseguenze della sua ben nota debolezza nel valutare le persone quando i prelati tedeschi che aveva elevato imboccarono senza esitazione la strada dello scisma e della fondazione di una Chiesa nazionale protestantizzante. Non riuscì a diventare invisibile, come lui stesso aveva annunciato; rimase presente e intervenne nella discussione ecclesiastica con dichiarazioni sagge e necessarie che sarebbero state efficaci se le avesse pronunciate dal soglio pontificio». Benedetto XVI ‘sconfitto’ dai nemici ‘irriconoscenti’ per motivi “terreni” o testimone fedele della vittoria di Cristo contro ogni male e ogni falsa “verità”? La seconda via ci sembra non tanto la nostra “preferita” bensì quella più aderente alla realtà di ieri, di oggi e così pure per il futuro della Chiesa dopo la morte di Benedetto XVI.