In queste ore si susseguono racconti, sintesi di pensiero, profili del Papa emerito Benedetto XVI. Ognuno giustamente cerca di individuare quale possa essere la chiave di lettura sintetica del pensiero di quest’uomo; in tanti cercano di farne emergere i tratti più umani; altri tentano di restituirne un profilo più complesso e talvolta chiaroscurale. A colpire è proprio questa ricchezza di tentativi di leggere e interpretare la vita di Joseph Ratzinger, la quale è stata indubbiamente – lo vediamo con chiarezza nelle ultime ore – un segno e una provocazione per tanti: amici e meno amici.
Quello che colpisce maggiormente, tuttavia, è riconoscere che davanti alla sua figura ci imbattiamo, per usare un’espressione di Mounier, in un “concreto inesauribile”: ogni tentativo di incasellamento sembra destinato, al fondo, a mancare la presa. Guardando a Benedetto XVI emerge ogni volta una smarginatura, un’eccedenza che impedisce di chiudere compiaciuti il cerchio delle proprie analisi, dovendo ammettere che c’è di più, che egli è stato anche altro: è stato di più.
Benedetto XVI ci restituisce così in modo concreto il significato autentico e profondissimo di un’espressione apparentemente remota: egli è stato un uomo di Dio. L’inafferrabilità ultima; la complessità del pensiero; l’impossibilità a relegarlo in un angolo della riflessione teologica; l’accostamento tra saldezza e mitezza, tra intelligenza acutissima e umani limiti; tutto questo trova qui la sua sintesi: Joseph Ratzinger è stato un uomo di Dio. Non è possibile, allora, inchiodare la sua figura a un momento esclusivo del suo iter ecclesiale o a qualche aspetto maggiormente eclatante del suo pensiero: egli ha vissuto la vita come un cammino, lasciandosi sempre più plasmare, afferrare, dal suo rapporto con Cristo.
Tornano così alla memoria le parole con cui accostò i percorsi umani del beato Newman e di sant’Agostino, i quali dovettero – spiegava Benedetto – “imparare che essere cristiani significa percorrere un cammino sempre più faticoso con tutti i suoi alti e bassi. L’immagine dell’ascensione venne sostituita con quella di un iter, un cammino, dalle cui faticose asperità ci consolano e sostengono i momenti di luce, che noi di tanto in tanto possiamo ricevere. La conversione è un cammino, una strada che dura tutta una vita. Per questo la fede è sempre sviluppo, e proprio così maturazione dell’anima verso la Verità, che ‘ci è più intima di quanta noi lo siamo a noi stessi’” (L’Osservatore Romano, 15 maggio 2005).
Benedetto XVI ci continua così a testimoniare, in queste ore in modo imponente, che cosa avviene a coloro che come lui si sono lasciati attrarre da Cristo e che per questo lo hanno seguito: la vita conosce uno sviluppo, una maturazione, secondo una grandezza e una verità che fanno emergere tutta l’inesauribile concretezza dell’umano. Con i suoi limiti, con le sue passioni, con il suo temperamento e con la sua profonda intelligenza Joseph Ratzinger ci testimonia cosa Cristo porti nella vita di un uomo: la possibilità di vivere questo iter umano, questo cammino di maturazione dell’anima che è fatta per lasciarsi attrarre, col tempo, sempre più dal Vero.
Anche in queste ore, in cui le immagini del Papa emerito si susseguono sui vari mezzi di comunicazione, Benedetto XVI sembra suggerire al mondo, una volta di più, che Cristo non è qualcuno da cui difenderci, qualcuno che insidi la vita o che ne vorrebbe limitare la bellezza, il gusto e l’intelligenza; Egli, piuttosto, è colui che consente di abbracciare tutta la grandezza dell’esistenza anche in quegli aspetti dolorosi o faticosi che inevitabilmente la determinano, secondo una possibilità altrimenti impossibile.
Tutta l’esistenza di Benedetto XVI sembra così metterci davanti a quanto esclamò nel giorno di inizio del suo Ministero: “non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita” (Omelia, 24 aprile 2005).
È un’attrattiva disarmata quella che coglie coloro che si soffermano su come quest’uomo ha affrontato l’avventura della sua vita, cercando giorno per giorno i segni e i frutti della presenza operosa di Dio nella storia. Perché, come ha ripetuto tante volte sia da cardinale che da Pontefice, “non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono ‘indicatori di strada’, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità” (Udienza 13 aprile 2011).
Come ha rivelato anche il suo Testamento Spirituale, è una gratitudine ad aver come dominato nella vita di quest’uomo, la gratitudine di chi si è ogni volta scoperto, soprattutto da Pontefice, sempre accompagnato e guidato dai segni discreti e concreti della presenza di Dio, come “confessò” nella sua ultima udienza: “sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa […] e rendo grazie a Dio per le ‘notizie’ che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo” (Udienza, 27 febbraio, 2013). In questa sequela ai segni viventi della presenza di Cristo nella Chiesa Benedetto XVI ha vissuto la sua responsabilità di pastore, in questa tensione continua si è lasciato “attrarre”, lasciandosi fare uomo di Dio e, proprio così, ci ha testimoniato tutta la bellezza e pienezza di una vita incontrata da Cristo.
Vedendo in queste ore il corpo senza vita di Ratzinger è impressionante pensare a quante vite siano state toccate e cambiate per il cammino, l’iter umano, che egli ha vissuto fin da ragazzo. Veramente, come ricordava congedandosi dal collegio cardinalizio: “La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che – come la Vergine Maria – accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi” (Saluto, 28 febbraio 2013). Al netto di tutte le analisi, Benedetto XVI rimane, come ogni uomo la cui vita è stata plasmata giorno per giorno dal rapporto con Cristo, un “concreto inesauribile”, un uomo di Dio che accogliendo il verbo di Dio ha generato Cristo nella vita di tantissimi uomini e donne in ogni parte del mondo.
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