Avevo 16 anni quando ho preso in mano Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, perché don Giussani lo citava con passione. Avevo in braccio mio figlio con la gamba ingessata, quel giorno in piazza san Pietro, quando dalla balconata si pronunciò il suo nome, e io sola tra una folla delusa esultai entusiasta. Si aspettavano il “pastore tedesco”. Il suo accento disturbava. Disturbava altri, nella Chiesa, la sua amicizia fedele e libera con Giovanni Paolo II.
Abbiamo imparato a conoscerlo come uomo retto, coraggioso, semplice. Come mente sapiente e lucida, ragione ampia e formata dottrina. Appassionato di Cristo e dell’uomo, dell’uomo mendicante di Cristo, della Sua Chiesa, che è madre per portare l’uomo a Lui, perché Lui solo colma il bisogno di senso e felicità della persona e del mondo. Abbiamo letto la sua prosa limpida, ascoltato la sua parola chiara e illuminante, il suo silenzio. La serena e dirompente scelta di dimettersi, conservando la vocazione e il compito nel cuore, nella preghiera protetta dalle mura di un monastero.
Non l’abbiamo capito. Non l’abbiamo difeso abbastanza, dagli attacchi feroci dell’ideologia, del mainstream progressista che aveva il solo scopo, attaccando lui, di svuotare di senso la Chiesa, renderla irrilevante e inutile. Dalla cattiveria di chi gli ha addossato colpe non sue. Non abbiamo letto abbastanza le sue encicliche, le sue profezie. Sono scomparsi i maggiori interpreti de suo pensiero, tutt’altro che reazionario e passatista. Ci siamo accontentati man mano dell’icona del buon nonnetto mite. Avevamo un gigante della fede, un dottore della Chiesa e non l’abbiamo capito. Ora preghi lui per noi, continui a intercedere dal Paradiso per noi che siamo spesso tanto smarriti e soli, dimentichi della grazia di Cristo e della Sua presenza qui ed ora.
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