Le ultime esequie celebrate per un Papa – quelle di Giovanni Paolo II, presiedute dall’allora cardinal decano Joseph Ratzinger – restano agli annali come la più imponente cerimonia geopolitica della storia contemporanea, assieme ai successivi funerali di Nelson Mandela.
L’8 aprile 2005 – sei giorni dopo la scomparsa del Pontefice polacco – in piazza San Pietro convennero rappresentanze ufficiali di 112 Paesi. Sul sagrato presero posto 80 capi di Stato in carica o emeriti, 75 Premier, 10 monarchi regnanti, i capi di una ventina di organizzazioni internazionali, guidati dal segretario generale dell’Onu Kofi Annan. E poi tutti i leader della Chiesa Ortodossa (fra i quali i patriarchi Bartolomeo di Costantinopoli e Cirillo di Mosca); alti esponenti di chiese cristiane evangeliche; il presidente del World Jewish Congress, Rabbi Israel Singer, e rappresentanti dell’islam, dell’induismo e del buddismo.
La delegazione Usa era capeggiata dal Presidente in carica, George W. Bush, e comprendeva due predecessori (George Bush Sr e Bill Clinton), oltre al segretario di Stato Condoleeza Rice. La Russia (dove Vladimir Putin era già Presidente) inviò il premier Mikhail Fradkov, con un lungo passato di alto diplomatico nell’Urss. Entrambe le presenze tributavano un omaggio d’eccezione a un Papa “geopolitico” per eccellenza, protagonista della caduta della Cortina di ferro e della fine del “secolo breve”: quello dei grandi conflitti mondiali e dei totalitarismi che Karol Wojtyla aveva conosciuto e combattuto personalmente
Nel parterre, all’interno del colonnato del Bernini, non mancava il presidente ucraino Viktor Yushchenko, eletto da poco e favorevole a un avvicinamento di Kiev all’Europa e alla Nato. C’erano tutte le massime cariche dello Stato polacco, oltre a Lech Walesa. C’erano alti esponenti delle repubbliche baltiche, della Bielorussia e dell’Azerbaijan. Non c’era invece nessun inviato della Repubblica Popolare Cinese: la Santa Sede non ha mai cessato di riconoscere Taiwan, ma dal 2018 il Vaticano e Pechino dialogano attraverso un primo protocollo diplomatico.
Quel giorno ai media globali non sfuggì il presidente di Israele, Moshe Katzav, seduto per protocollo poco lontano da quello iraniano Mohammad Kathami nonostante le pessime relazioni fra i due Paesi. C’erano naturalmente il presidente francese Jacques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Da Londra giunse il principe Carlo; da Ankara il premier Recep Erdogan. Dalla Giordania venne re Abdullah II con la regina Rania, seguito dal premier dell’Autorità palestinese, Ahmed Qurei. C’erano l’emiro del Qatar, Khalifa Al Thani, e un membro della famiglia reale saudita. Da Praga volò un leader carismatico come Vaclav Havel. Da Brasilia il presidente Inacio Lula. Solo le cattive condizioni di salute impedirono all’ultimo istante a Mandela di partire dal Sudafrica.
Papa Benedetto ha chiesto per sé esequie “sobrie”. Ciò però non esclude che giovedì 5 gennaio in piazza San Pietro si possano radunare le stesse delegazioni dell’ultimo funerale di un Pontefice. Ma forse basterebbero solo il presidente Joe Biden (il secondo cattolico alla Casa Bianca), quello ucraino Volodymyr Zelensky, il premier russo (oggi è Mikhail Mishustin), se non anche un inviato del leader cinese Xi. Potrebbero essere loro i soli ad assistere alle esequie di papa Benedetto, presiedute da papa Francesco in una piazza deserta come quella in cui, il 27 marzo 2020, il Pontefice celebrò una messa di fede e speranza per il mondo attanagliato dal Covid.
Quel giorno di quasi 18 anni fa, il cardinale Ratzinger concluse così l’omelia in memoria del suo predecessore: “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci guarda e ci benedice”.
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