Sono molte le chiavi di lettura con cui ci si può interrogare leggendo la recente Dichiarazione Fiducia supplicans; un documento dagli accenti prevalentemente pastorali, che ha già suscitato dibattiti e polemiche in merito alla benedizione che il Papa ha concesso alle coppie gay. Su questo tema si sono espressi teologi e vescovi, laici e religiosi, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti, conservatori e progressisti, destra e sinistra. Ognuno ha potuto esprimere il proprio punto di vista con la libertà che è uno dei pregi maggiori con cui la nostra coscienza è stata educata ad accogliere il dono della fede, senza rinunciare all’esercizio della ragione e del discernimento. E nello stesso tempo è una garanzia di quel clima di apertura che si respira anche nella Chiesa e che lascia alla libertà di pensiero e di parola tutto lo spazio necessario per cercare di capire e di approfondire le diverse questioni, soprattutto, quando suscitano dubbi e perplessità. È così infatti che si plasma la nostra fedeltà alla nostra vocazione.
Ancora una volta però il dibattito ha assunto toni da crociata, con un tifo che ha spostato il baricentro dall’oggetto specifico (la benedizione, in particolare alle coppie gay) alla persona del Papa. Eppure, le sue parole si collocano come sempre nel solco indelebile della carità e della magnanimità. La premessa infatti è chiara e ferma: “La presente Dichiarazione resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico, o benedizioni simili a un rito liturgico, che possano creare confusione”. Si agisce, di fronte a coppie irregolari, “senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”.
Il testo in sé non è quindi né eretico né blasfemo. Saranno i vescovi a decidere della sua applicazione a seconda dei contesti, tenendo conto che le benedizioni pastorali non sono paragonabili a quelle liturgiche e ritualizzate. La nota fa un ulteriore passo di chiarezza quando afferma: “Sono inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio, quale unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli e ciò che lo contraddice. Questa convinzione è fondata sulla perenne dottrina cattolica del matrimonio. Soltanto in questo contesto i rapporti sessuali trovano il loro senso naturale, adeguato e pienamente umano. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma”.
La Dichiarazione ribadisce in modo inequivocabile quanto aveva affermato, solo pochi anni fa, la Congregazione per la Dottrina della Fede nel famoso Responsum del 2021, dicendo che la Chiesa non aveva il potere di impartire la benedizione ad unioni fra persone dello stesso sesso, dal momento che la Chiesa ha sempre considerato moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimonio. I due documenti, a distanza di pochi anni, contengono un denominatore comune forte e chiaro: la dottrina sul matrimonio non si tocca, ma hanno un numeratore diverso, più rigoroso ed esigente quello del Responsum e più misericordioso quello espresso nella Fiducia supplicans. Nomen omen, direbbero gli antichi. Nel caso del Responsum si chiedeva una conversione a monte, prima di concedere la benedizione; nel caso della Fiducia supplicans si auspica che la conversione avvenga ex post, anche in virtù della grazia scaturita dalla stessa benedizione, nella sua dimensione più semplice e popolare. La grazia, come è noto fin dai tempi di Agostino, precede sempre la conversione e in questo caso la benedizione, data gratuitamente, senza alcun merito personale, ma solo con il desiderio di riceverla, potrebbe favorirla.
Il punto chiave della Dichiarazione, infatti, è proprio nella distinzione tra due forme differenti di benedizioni: “liturgiche o ritualizzate”, quelle a cui si riferisce il Responsum, e “spontanee o pastorali”, quelle a cui fa riferimento la Fiducia supplicans. Quest’ultimo documento vuole offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni, che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica, strettamente legata a una prospettiva liturgica. Si tratta di una riflessione, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco e sulla sua valutazione positiva della “pastorale popolare”. In questo contesto, il Santo Padre ci invita a una valorizzazione della fede semplice del Popolo di Dio, che anche in mezzo alle sue miserie, ai suoi peccati, esce dall’immanenza e apre il suo cuore per chiedere l’aiuto di Dio. La nuova Dichiarazione dottrinale contiene infatti la proposta di brevi e semplici benedizioni pastorali, non liturgiche né ritualizzate, per le coppie irregolari, ma non solo per loro, sottolineando che si tratta di benedizioni che non approvano né giustificano la situazione in cui si trovano queste persone. Sarà il vescovo della diocesi a cui si rivolgono queste coppie a prendere le sue decisioni con la prudenza e l’attenzione rivolte sia al contesto sociale che ecclesiale, ma anche al desiderio delle persone che desiderano essere benedette.
Al centro del documento non ci sono le coppie gay, ma un nuovo e più ampio significato del valore della benedizione pastorale, nella sua dimensione popolare oltre che liturgica. Tutti abbiamo bisogno di crescere nella convinzione che le benedizioni non sono una consacrazione della persona o della coppia che le riceve, non sono una giustificazione di tutte le sue azioni, non sono una ratifica della vita che conduce. Il Papa propone un modo di benedire che non pone troppe condizioni all’uomo o alla coppia, ma promuove l’apertura a Dio tra le più diverse circostanze. Sono benedizioni brevi, discrete, che non pretendono di giustificare qualcosa che non sia moralmente accettabile. Di fatto non sono una assoluzione, in quanto sono ben lontane dall’essere un sacramento o un rito. È unicamente la risposta di un pastore a due persone che chiedono l’aiuto di Dio. Per questo il pastore non pone condizioni e non vuole conoscere la vita intima di queste persone. Se un sacerdote dà questo tipo di benedizioni semplici non è un eretico, non ratifica nulla, non sta negando la dottrina cattolica.
Trattandosi di temi che riguardano le sostanziali differenze tra matrimonio e unioni civili, che hanno lungamente e profondamente impegnato il Parlamento in questi anni, creando non poche spaccature anche tra i parlamentari cattolici, è lecito chiedersi in che modo su questi temi sia possibile rilanciare la grande utopia dell’unità dei cattolici in politica. Ci si può chiedere infatti se ci si debba rassegnare a registrare l’ennesima spaccatura tra progressisti e conservatori, senza neppure fare lo sforzo di ascoltarsi reciprocamente nel rispetto delle diverse posizioni. Che l’essenza del matrimonio non si possa toccare è cosa assodata in entrambi i documenti di riferimento, il Responsum e la Fiducia Supplicans. Eppure, sembra quasi di assistere ad un derby con Responsum versus Fiducia Supplicans. Senza cogliere, pur con la indispensabile prudenza, quanto sia necessario oggi rilanciare l’ascolto reciproco, cambiando il punto di vista, come suggerisce Papa Francesco, e spostando l’accento dalla coppia gay ad un nuovo e più ampio significato della benedizione. Non prendendo posizione acriticamente pro o contro Papa Francesco, ma rinnovando, una volta tanto la fiducia nello Spirito Santo che lo assiste anche nel suo magistero ordinario. Abbiamo tutti bisogno di rivolgerci a Dio con rinnovata fiducia, ben sapendo che onnipotenza supplicante è un titolo riservato alla Madonna, alla sua maternità, alla sua infinita capacità di accoglienza e di perdono. Mentre è con il Salmo 50 che ci rivolgiamo a Dio, quando cresce in noi la consapevolezza della nostra fragilità e della nostra miseria: Miserere mei Domine, misere mei. Fiducia da parte nostra e misericordia da parte di Dio, è questo il dialogo!
Più che mai come politici e come cattolici dobbiamo saper tenere unite queste due dimensioni, il rigore della verità, l’oggettività dei fatti, ma anche un’attenzione piena di comprensione e di magnanimità verso coloro che consideriamo, altrettanto oggettivamente, come più fragili, più bisognosi di cura e di interventi di presa in carico. L’unione dei cattolici in Parlamento, ma anche nel ben più ampio scenario della vita politica, passa proprio attraverso questa ricerca instancabili di un nuovo punto di equilibrio, che sia più inclusivo e più ispirato a quell’umanesimo integrale in cui capacità e meriti si mescolano con fragilità e difetti. Non si tratta tanto di giudicare le parole e le decisioni del papa, né sul piano dottrinale né su quello pastorale, ma di accoglierne l’invito, mostrando di essere capaci di fare un passo in più, proprio in quanto cattolici e perciò stesso più aperti e più capaci di fare sintesi anche davanti alle contraddizioni della nostra stessa esistenza, lasciando la porta aperta al perdono e alla capacità di rettificare e di ricominciare. Magari con l’aiuto di tante piccole benedizioni.
Il 5 gennaio Papa Francesco ha ricordato che conoscere solo con la mente è una conoscenza incompleta: “Senza il cuore non c’è conoscenza umana. Per conoscere, dobbiamo conoscere con la mente, con il cuore e poi fare con le mani: non dimenticate i tre linguaggi … Che la mente sia unita al cuore e alle mani, che il cuore sia unito alle mani, per fare, e alla mente; e che le mani siano al servizio del cuore e della mente. Non dimenticate questo, voi, nel vostro agire”.
La vera unità dei cattolici in politica passa anche per questa delicata operazione: andare oltre la conflittualità per cercare un punto di sintesi in cui le diversità trovino la loro armonizzazione in una maggiore consapevolezza di cosa sia realmente il Bene comune e cerchino di perseguirlo insieme, nella speranza che Dio benedica questi loro sforzi e renda più limpida e trasparente la loro fede e la loro misericordia.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.