Un bengalese a processo per avere picchiato la moglie è stato assolto. La sentenza, riportata da Agi, ha creato molte polemiche. Il motivo è da ricondurre alle motivazioni esposte dai giudici, che sono state rivelate dall’avvocato Valentina Guerrisi, che difende la vittima, nel momento in cui è stato annunciato il ricorso. Esse farebbero riferimento alla causa delle violenze, ovvero un tradimento, e alla cultura della coppia. L’uomo infatti non avrebbe fatto altro che mettere in atto la sharia, ovvero l’insieme di regole di condotta morale dell’Islam. 



L’assoluzione è arrivata sulla base “di una nuova scriminante, quella dell’adulterio, anche peggio rispetto a quella giuridicamente abominevole opzione paventata dall’accusa di una presunta quanto inesistente scriminante culturale”. Per la legale, “è evidente come tutta la ricostruzione offerta in sentenza, quasi con spirito di partigianeria solidale con un maldestro pm gravemente scivolato nel relativismo giuridico e culturale, abbia ricalcato lo schema percorso dal magistrato inquirente nella richiesta di archiviazione”.



Bengalese picchia la moglie, assolto “perché tradito e per motivi culturali”: i fatti

I fatti risalgono al 2019, quando è scattata la denuncia per maltrattamenti e violenza sessuale da parte di una ventottenne nei confronti del marito quarantenne bengalese poi assolto. La donna, della stessa nazionalità ma cresciuta in Italia, ha deciso di ribellarsi alle angherie subite, che per l’uomo erano invece semplicemente l’attuazione della sharia. I giudici per questo motivo stabilirono che le azioni non erano il frutto della sua “coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima”, bensì di un “impianto culturale” che non accetta in alcun modo il tradimento. 



Al contrario, agli occhi della vittima, quanto accaduto era “intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono” al punto che ciò “l’ha condotta ad interrompere il matrimonio”. È un pieno esempio dunque di relativismo giuridico, per cui l’avvocato Valentina Guerrisi ha deciso di fare ricorso.