L’assoluzione dopo 33 anni in carcere è stata una gioia imprevista per Beniamino Zuncheddu, tanto da non riuscire a dormire per la libertà ritrovata. In tutti questi anni non ha mai capito perché fosse finito in cella, e non ha ancora trovato le sue risposte. «Non ancora. Ma le ho cercate». Al Corriere della Sera racconta di aver cercato Luigi Pinna, il super testimone del massacro del Sinnai che lo indicò come l’autore della strage. «Non ha voluto parlarmi, quel confronto non c’è stato». Ma quel che vorrebbe chiedergli è solo un perché: «Voglio dire perché proprio io?».
Pensare che in questi anni i suoi avvocati volevano che si ravvedesse e che confessasse gli omicidi: «Dicevano: “Confessa e stasera sei a casa”». Ma lui rispondeva con la solita frase: «Se non ho comprato perché devo pagare? Se non ho ucciso perché devo stare dentro? Come posso confessare qualcosa che non ho fatto?». Ora Beniamino Zuncheddu si sente un «sopravvissuto». In carcere si sentiva «come un uccello in gabbia». Ora vuole spiccare il volo. «Devo riprendermi la mia vita. Ora voglio staccare da tutto. Ci vuole un po’ di relax».
“IL CARCERE E’ PIENO DI INNOCENTI ABBANDONATI”
La sera del massacro del Sinnai, nel gennaio 1991, Beniamino Zuncheddu era a casa di un’amica, a giocare col figlio, un ragazzo tetraplegico. Quella donna testimoniò al processo che si concluse con la condanna, ma «nessuno la ascoltò». Nonostante tutto, non prova né rabbia né rancore. «La maggior parte di quelle persone, di quelli che hanno incrociato la mia vita, sono vittime delle circostanze», spiega al Corriere della Sera. Lui comunque non si sente un eroe: «Il carcere è pieno di innocenti abbandonati ai loro problemi. Quando sono uscito, a novembre, anche i detenuti che non avevo mai conosciuto mi hanno fatto avere i loro saluti. E io ho fatto la stessa cosa».
Una tappa decisiva nella revisione del processo è rappresentata dall’incontro tra Beniamino Zuncheddu e Irene Testa, la garante dei diritti dei detenuti della Sardegna, perché arrivato nel momento giusto: «Non volevo più lottare». Invece, sua sorella Augusta non ha mai smesso: «Lei a differenza di me è una guerriera». Beniamino Zuncheddu non esclude di rifarsi una vita a livello sentimentale: «Perché no?». Intanto c’è la partita dei risarcimenti: «Vedremo. Non ci spero».
“NON HO MAI SMESSO DI PREGARE PER AVERE GIUSTIZIA”
Dei suoi 33 anni di ingiusto carcere parla anche alla Stampa. «Una cosa tremenda, perché nessuno me li può restituire». Entrato in carcere prima di compiere 27 anni, ne esce a 59. «Ero innocente e quindi ero convinto che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori. Peccato che ci sia voluto così tanto tempo». Beniamino Zancheddu confessa di essere riuscito ad andare avanti solo grazie alla fede. «Sono molto credente e non ho smesso un minuto di pregare per ottenere giustizia. Non so se senza la fede ce l’avrei potuta fare».
Riguardo il risarcimento per l’ingiusta detenzione, non ha idea di come andranno le cose, ma una cosa è certa: «Mi hanno tolto la possibilità di farmi una famiglia, di lavorare. Non so di possibili risarcimenti in futuro, ormai quello che mi potevano rubare me l’hanno rubato. Non ho potuto nemmeno sposarmi». Ma Beniamino Zancheddu ha avuto sempre l’affetto della sorella e del cognato. Nessun odio però chi l’ha accusato e condannato: «Non è colpa loro, la colpa è del poliziotto che ha convinto il testimone a dare la colpa a me. È stata un’ingiustizia assurda».