Beniamino Zuncheddu è stato assolto dopo 33 anni in carcere scontati per la strage del Sinnai, di cui adesso i giudici non lo ritengono colpevole. I fatti risalgono all’8 gennaio 1991, quando tre persone vennero uccise a colpi di fucile in campagna. Le vittime furono Gesuino Fadda e il figlio Giuseppe, proprietari di un ovile, e il loro dipendente Ignazio Pusceddu. Il super testimone Luigi Pinna, che era sopravvissuto, individuò il killer nell’allevatore di Burcei, il quale fu condannato all’ergastolo.
“La prima volta che l’ho incontrato lo ritenevo colpevole. La diffidenza era reciproca. La mia fiducia nella giustizia me lo faceva pensare. Non potevo immaginare di trovarmi di fronte a un innocente che fosse dentro da 25 anni”, così l’avvocato Mauro Trogu, che sette anni fa assunse l’incarico di difensore di Beniamino Zuncheddu, racconta il loro rapporto in una intervista al Corriere della Sera. Nonostante le sue impressioni iniziali, poco dopo il legale comprese che c’era stato un errore. “Ho iniziato a leggere gli atti del primo processo. Fanno paura”.
Beniamino Zuncheddu, l’avvocato: “All’inizio lo reputavo colpevole”. La testimonianza di Luigi Pinna
Gli errori commessi sulla strage del Sinnai sembrerebbero essere numerosi, dalle indagini alla sentenza. “Sessanta giorni prima del triplice omicidio di Sinnai a 5 chilometri dall’ovile teatro della strage viene sequestrato Giovanni Murgia, poi liberato dietro pagamento di un riscatto. Ma le inchieste tra i due fatti restano clamorosamente separate benché indagasse in simultanea la polizia”, ha ricordato Mauro Trogu.
Beniamino Zuncheddu aveva tra l’altro un alibi e una malformazione che gli impediva di sparare. “Fu giudicata una circostanza irrilevante. Il processo si basò solo sulla testimonianza del sopravvissuto alla strage, Luigi Pinna”. Questa però presentava delle incongruenze. “Presentammo una denuncia che contribuì a fare riaprire le indagini. Da lì la procura di Cagliari dispose nuove intercettazioni che portarono a prove schiaccianti sulla falsità della testimonianza”. L’avvocato, a distanza di 33 anni, è finalmente riuscito nell’impresa che era sfuggita ai suoi predecessori. “Anche loro indicarono la strada del movente possibile, non quello della lite tra pastori ma il sequestro Murgia. Mancava però la documentazione”, ha concluso .