Il corteo più desolato a memoria d’uomo ha percorso nella sera la città di Bergamo. C’è qualcosa che si incide dentro di noi, molto più degli slogan tipo “tutto andrà bene”, ma anche “restiamo in casa”.

Come fai a ripetere a te stesso, e – figuriamoci! – ai figli, queste parole buone solo per noi, per la nostra sopravvivenza, quando sotto le tue finestre, o davanti al televisore, vedi i camion dell’esercito trasformati in carri funebri, con bare indistinte, senza corone di fiori, nastri blu con la dedica al padre o alla madre, nascoste da teloni mimetici. Ciò che di più simile alle fosse comuni ci è capitato di vedere nella nostra vita.



Ai morti non si dice: noi vivremo, quasi rinfacciandoglielo. Ma “voi vivrete, la vostra esistenza e il sacrificio della vostra sofferenza non è stato buttato via, come oro rovesciato nei tombini!”.

Ma oggi chi ha il coraggio di dire queste parole tristi ma non disperate? Ci sono, ci sono persone così! In questi giorni ne abbiamo scoperte tante, vicino a noi. Personalità minuscole secondo i canoni del gossip, ma gigantesche nel loro amore discreto e totale, e alcune sono proprio accanto a noi.



Immagino che i morti solo apparentemente anonimi, i quali viaggiano verso i crematori forestieri perché non c’è posto per loro nel cimitero dove riposano i loro padri e nonni, ci dicano proprio questo: resta in casa, certo; andrà tutto bene, davvero; ma guarda come siamo fragili noi uomini, un microbo ci può uccidere.

Ma ciò che il Covid-19 non può infettare è l’amore, l’essere stati voluti, essere figli, padri, madri. Guardaci passare, e ridesta la memoria del bene ricevuto, costruisci una rete di persone fluorescenti di infinito che rinascono non dopo l’epidemia, non quando tutto sarà finito, ma ora. Requiem aeternam dona eis Domine.



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