Roberto Calderoli ha rilasciato un’intervista ai colleghi del “Corriere della Sera” nella quale parla del prossimo presidente della Repubblica, che sarà eletto nel 2022 e succederà a Sergio Mattarella. Secondo il senatore, se il nuovo inquilino del Quirinale sarà eletto entro le prime quattro votazioni si tratterà di un uomo, mentre se si andrà alla quinta votazione potrebbe trattarsi di una donna. In ogni caso, “l’elezione entro i primi tre scrutini, con la maggioranza dei due terzi, ha il 30 per cento di possibilità. Al quarto o quinto scrutinio si sale al 70 per cento. Impossibile fare previsioni, però trovo positivo che si sia presa l’iniziativa di arrivare a un’intesa perché venga fuori un nome il più condiviso possibile”.
I nomi che circolano con maggiore insistenza per il Colle sono quelli di Mattarella (si tratterebbe dunque di un bis, dopo i primi sette anni trascorsi alla guida dell’Italia) e di Draghi, ma “con il massimo rispetto che tutti dobbiamo alle loro figure, è mai possibile che un Paese come il nostro non sappia trovare un’altra candidatura altrettanto degna? Se la risposta è negativa, tante vale che arrivi il commissariamento”, ha affermato Calderoli.
CALDEROLI: “LE POSSIBILITÀ PER PORTARE BERLUSCONI AL QUIRINALE CI SONO TUTTE, MA…”
Circa il possibile interesse di Draghi a diventare presidente della Repubblica, invece, Calderoli ha evidenziato di avere interpretato in maniera diversa i pensieri del premier: “Io ho capito solo che ha esplicitato la necessità di far emergere una guida per il Paese per il futuro. Berlusconi al Colle? Le possibilità ci sono tutte, numeri alla mano. bastano 430 voti, il resto arriverà. Sono i non ricandidabili (quelli che non hanno chance per il taglio dei parlamentari e per il calo del consenso del proprio partito, penso in particolare a M5S e Pd) quelli che più possono venire in soccorso”.
Infine, un viaggio nel passato: dell’elezione di Scalfaro, Calderoli ricorda “una infinita serie di impallinamenti interrotta dalle stragi che portarono alla sua nomina”, mentre Ciampi uscì al primo voto (“elezione scontata, era un uomo delle istituzioni”. Napolitano, invece, “non lo votai, ero fortemente contrario, perché era stato il ministro dell’Interno nel nostro periodo secessionista, mentre la seconda volta la sua rielezione fu uno stato di necessità, il Parlamento si era incagliato. Ed era un mandato a tempo”.