È la sua grande vittoria. Contro il buon senso, contro il sentire comune. Contro ogni pregiudizio. Ha vinto l’avvocato. Il Ruby ter si chiude con una pronuncia tecnica che ricorda a tutti quanto la Giustizia non esista. Esiste solo la giustizia dell’aula, per fortuna. Quella del processo. E solo da lì emergono colpevoli ed innocenti. Ed il processo è fatto di regole, procedure e cavilli. Che spesso appaiono indigesti, difficili da comprendere, ma il più delle volte altro non sono che un’applicazione della logica al diritto.
E così, da quanto pare, l’imputato Berlusconi non poteva di fatto corrompere chi non poteva essere testimone. Le ragazze, tutte loro, andavano interrogate con l’assistenza del loro avvocato di fiducia, perché andavano, nella sostanza, indagate anch’esse e non dovevano, quindi, dichiarare nulla senza che un tecnico (l’avvocato, sempre lui) non fosse presente. Non avevano, come indagate, nessun obbligo di dire la verità. Senza testimoni in senso tecnico non vi può essere la loro corruzione e perciò Berlusconi va assolto.
Le regole prevedono che si potrà proporre appello, si potrà andare in Cassazione. Insomma la partita potrebbe non essere finita. Tranne per i reati già prescritti. Ma è innegabile che questa assoluzione, l’ennesima, toglie dalla storia giudiziaria del nostro Paese un pezzo di narrazione. Berlusconi non ha commesso reati nella vicenda Ruby. Dal suo inizio. Questo dicono le sentenze. Poi c’è la storia dell’uomo politico, dell’opportunità delle sue condotte, delle sue debolezze personali e delle sue scelte. Ma aver cercato in ogni modo di farne un condannato senza riuscirci è il peggiore investimento che il nostro sistema abbia fatto.
Se avrete modo di parlare con magistrati impegnati tutti i giorni nelle aule vi diranno che la vera vittoria è la condanna definitiva, non l’indagine, o l’arresto di un omicida conclamato, o il fermo di un violento o di un trafficante di droga. Aver trasformato invece l’indagato in martire rende il sistema giudiziario più fragile. Ed impone una riflessione ampia sul sistema giudiziario.
La durata quasi decennale di questi processi ed il fatto che si siano conclusi con un’assoluzione del principale indagato ci ricordano che la pena vera è il processo in sé e la sua durata. L’uso mediatico dell’indagine mette a nudo la vulnerabilità del sistema, che non dovrebbe, in linea teorica, consentire ad un processo tecnicamente non corretto (secondo il Tribunale di Milano) neppure di essere avviato.
Cosa deciderà la politica lo si vedrà, ma va detto che il giudizio su Berlusconi e le sue scelte di vita personale appartengono a Berlusconi e che le scelte degli elettori sono state poco o niente influenzate da queste vicende. Mentre, e questo è indubbio, il ludibrio a cui il Paese è stato sottoposto anche a causa di queste vicende in quegli anni in tutti i consessi internazionali è un danno che deriva da quelle condotte e che il Paese ha pagato direttamente. Se quindi i giudici di aula hanno chiarito che Berlusconi è innocente (nella vicenda Ruby), se parte del suo elettorato lo ha assolto, il giudizio storico dice che le sue scelte hanno certamente inciso su tutta la comunità nazionale che ha governato. Avrebbe dovuto essere sufficiente questo a chi invece (fuori dalle aule) ha chiesto la Giustizia e la Verità al processo, dimenticato un piccolo dettaglio. Che i processi si hanno con le regole e con gli avvocati che le presidiano e che nessun processo potrà sovvertire l’opinione, positiva o negativa, su Berlusconi né restituire la Verità.
Un processo serve solo stabilire se, secondo le regole, si è colpevoli o innocenti. Lasciare i processi alle aule è l’unica strada per costruire un Paese maturo e moderno che sappia giudicare i propri leader senza essere tirato nei tecnicismi giudiziari, che sappia dire che Berlusconi era inadeguato (o non lo era) senza attendere di leggere le motivazioni della sentenza di Milano.
Certo, questo presuppone un sistema giudiziario forte, incorruttibile ed impermeabile alla politica. Che sappia svolgere il proprio ruolo senza assumersene altri. Ma chiede anche alla politica di lasciare in pace i processi, di farli celebrare rapidamente e con competenza affinché si sappia se vi è un colpevole. Questo dovrebbe essere, ma rischia di diventare un desiderio vano se sin dai tempi di Cicerone, lui, eccellente avvocato, riuscì a far passare Catilina per ciò che forse non era, difendendo il potere costituito da chi voleva altro facendolo passare per colpevole.
In fondo la storia nostra passa sempre da lì. Dalle aule di un tribunale, dal giudizio su di una sentenza che copre i fatti e gli atti come se solo quello che accade in aula avesse un peso ed una rilevanza. Finché sarà così saremo sempre condannati a preoccuparci più dei processi che dei fatti e non meravigliamoci, perciò, se alla fine vince sempre lui: chi ha un buon avvocato.
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