La scomparsa di Silvio Berlusconi conclude una vicenda politica italiana che può dirsi cominciata ufficialmente nel 1992: momento di crisi delle istituzioni repubblicane così come queste erano uscite dall’Assemblea costituente e avevano vissuto nel lungo periodo sino a quell’anno.
Le avvisaglie di questa crisi erano emerse da fattori diversi non direttamente connessi. Alcuni di carattere sopranazionale: la caduta del muro di Berlino, le limitazioni apportate ai poteri finanziari dello Stato dal trattato di Maastricht del 1992-93, in concomitanza con la fase più aggressiva della globalizzazione; altri più squisitamente interni, come il messaggio del giugno 1991 del presidente Cossiga, il primo referendum elettorale, sempre di quell’anno, promossa da Mario Segni sulla preferenza unica, il discorso di Bettino Craxi alla Camera del 1992 sul finanziamento illecito ai partiti e il fenomeno “Mani pulite”.
Nel 1993 in Italia divenne molto forte l’istanza di personalizzazione della politica, prima con la legge sull’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province e, poi, con le leggi elettorali maggioritarie dell’agosto 1993, a seguito del secondo referendum elettorale del 18 aprile di quell’anno sulla legge elettorale del Senato. Segni, che aveva prodotto una grande apertura nel sistema politico italiano, non riesce ad utilizzare lo spazio nuovo che aveva creato; proprio Berlusconi si inserisce perfettamente in questo contesto e nel giro di pochi mesi compie una serie di azioni che gli daranno la ribalta politica del Paese: sdogana alle elezioni del Comune di Roma Gianfranco Fini, guadagnandosi il titolo di “cavaliere nero”, mette in piedi un partito nuovo che in parte era proiezione della sua struttura imprenditoriale, in parte attingeva ad un Paese che era stato messo da parte dai partiti politici tradizionali, diventa l’alfiere della libertà e della democrazia in un sistema profondamente burocratizzato e inefficiente, con una giustizia ingiusta e spesso vendicativa, e con una sinistra, sconfitta sulla scena internazionale, che provava a vantare delle pretese di potere da regime.
Quando nel gennaio 1994 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, commise l’errore di sciogliere anticipatamente le Camere, Berlusconi era già magicamente pronto, e con strumenti fino ad allora inediti, alla propaganda politica, ricorrendo a modelli tipici del marketing commerciale, e riuscì a stupire l’opinione pubblica internazionale.
Le vicende successive furono ovviamente un insieme di alti e bassi per questo leader di tipo nuovo: dalla crisi decretata da Bossi appena sette mesi dopo le lezioni del 27 marzo 1994, alla sconfitta del 1996, alla ripresa del governo nel 2001, alla perdita del 2006, alla ripresa ancora una volta del governo nel 2008 e sino alla crisi aperta dalla lettera della Bce del 5 agosto 2011, che segnò la caduta definitiva dell’ultimo governo Berlusconi. Rimase anche dopo sempre sulla scena politica, anche di fronte agli attacchi di una parte della magistratura; nel 2013 fu lui a chiedere al presidente Napolitano di accettare la rielezione, sbloccando una situazione di stallo dopo che le elezioni del febbraio di quell’anno avevano stravolto ancora una volta il sistema politico, passando da un bipolarismo mal governato ad un tripolarismo ingovernabile, con l’ascesa del M5s.
Nel 2018, quando ormai era cominciato il crepuscolo, non fu di ostacolo alla formazione del Governo Conte 1, con la Lega di Salvini, e quando il presidente Mattarella “impose” il governo di unità nazionale guidato da Draghi, per non andare ad elezioni che il centrodestra avrebbe sicuramente vinto, non fece mancare il suo consenso a favore dell’ex presidente della Bce.
Ancora di recente, a parte una insofferenza iniziale verso Giorgia Meloni, si è adattato alla premiership di questa riuscendo a concepire, con grande intelligenza, un centrodestra europeo.
I suoi meriti maggiore sono stati i risultati ottenuti sulla scena internazionale. Europeo convinto e parte fondamentale del Partito popolare europeo, Berlusconi ha sempre rappresentato con forza questo ideale all’interno del centrodestra, dove gli altri due partner si contraddistinguevano per il loro scetticismo verso l’Unione Europea. Ha tentato fino all’ultimo di portare la Lega entro la famiglia popolare europea.
Era amico di Putin, ma anche di Bush e si deve proprio a Berlusconi il tentativo di portare nel consesso occidentale la Russia, con il celebre incontro di Pratica di Mare. Peccato che in questo non fu aiutato dagli altri leader europei che risultarono più interessati alla Cina.
Conosceva molto bene Erdogan e anche in questo caso il trattamento che gli riservava induceva il suo interlocutore a moderare i toni politici in vista dei rapporti possibili con l’Unione Europea.
La sua politica di governo, però, fu meno efficace, anzi risultò spesso insufficiente. Aveva promesso una rivoluzione liberale, ma non fece alcunché per realizzarla veramente; lasciò che la gestione dello Stato continuasse con l’andazzo della prima Repubblica, nonostante i tempi fossero cambiati. Propose grandi infrastrutture, ma non ne realizzò nemmeno una durante i suoi periodi di governo. L’immagine di un leader vanitoso ed egocentrico ebbe la meglio su quella dell’imprenditore che si era fatto da sé, costruendo una realtà nuova.
Lo strumento per fare politica fu un partito creato da lui, con caratteristiche inedite. Forza Italia è stato il “suo” partito nel vero senso della parola e non ha permesso a nessuno di poterlo gestire al suo posto. Un partito personale, carismatico e niente affatto democratico al suo interno, di cui Berlusconi disponeva a piacimento portandolo alla ribalta attraverso convention politiche e una pubblicità cui non corrispondeva una vera vita democratica al suo interno. Per rimanere a galla gli uomini di Forza Italia dovevano essere legati a lui personalmente, accompagnarlo di continuo, sedersi accanto a lui, altrimenti sarebbero finiti subito nel turnover che è stato anche un metodo messo in campo da Berlusconi per selezionare un personale politico particolarmente attento ad interpretare il suo pensiero.
Adesso che Berlusconi è scomparso, possiamo parlare di una eredità politica? E se sì, chi potrebbe essere chiamato ad interpretarla, visto che lui non ha voluto mai dei delfini?
Una eredità politica vera e propria non sembra esserci, ma questo vale con molta probabilità anche per gli altri partiti politici, sia perché l’eredità presuppone un sistema di pensiero, sia perché la politica è diventata mera occupazione di uno spazio pubblico e questa occupazione, per definizione, non è ereditabile.
Di fatto Forza Italia, senza Berlusconi, corre il rischio di dissolversi, facendo scomparire subito la memoria di Berlusconi.
A prescindere da questa circostanza comunque non sarebbe un bene la scomparsa di un partito che è presente da circa trent’anni sulla scena politica.
Per mantenere in piedi Forza Italia e conservare il consenso che ha, anche se ben lontano dai successi di Berlusconi, occorre che quelli che la compongono si rendano conto che non sono Berlusconi; e che perciò, molto umilmente, trovino la ragione del loro stare insieme in un modo di fare politica più tradizionale ma più solido, aprendo effettivamente circoli, costruendo strutture di partito partecipate e realizzando un progetto politico più attento e vicino agli interessi del Paese.
Solo in questo modo Berlusconi potrà ancora essere celebrato nella memoria degli italiani.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI