È un anno. E Silvio Berlusconi è ancora qua. Non solo sulle schede elettorali e neppure solo nelle commemorazioni dei discepoli. La sua presenza è viva nel sistema sociale e politico del Paese. È lì, nel corpo vivo della società, che si avverte soprattutto nella sua vera eredità. Ovvero il bipolarismo. Lui ne fu interprete massimo, radicalizzando consenso e dissenso sulla sua persona, spaccando la destra e la sinistra e trasformandole in partigiane tifoserie in cui lui era la squadra a cui tenere o contro cui lottare. Così ha mascherato per anni la sua personale voglia di consenso.
Chi credeva che morto Berlusconi si sarebbe spaccato il quadro politico tornando ai blocchi sociali della prima repubblica è rimasto deluso. Non era lui a dividere. La vita democratica italiana si nutre di una contrapposizione feroce tra due mondi che vivono della sua intuizione. Da un lato la destra, oggi sovranista, dall’altro la sinistra, molto più massimalista di un tempo. L’ibridazione tra i due poli, sperata da Renzi e Calenda, auspicata da tanti osservatori, non c’è stata. Solo l’anomalia dei 5 Stelle, per la sua breve stagione, ha sedotto con una terza posizione l’elettorato che ha cercato in Grillo un altrove politico per risolvere i suoi problemi. Alla prova dei fatti anche quel non-luogo è stato fagocitato dalle posizioni storiche dello schieramento italiano. Tanto che oggi i 5 Stelle si definiscono progressisti, riformisti e non più una cosa diversa dai due poli.
Berlusconi aveva compreso che agli italiani bisogna dare un nemico e lui godeva degli attacchi della sinistra così come oggi la Meloni sberleffa gli avversari. E nulla può più cambiare questa conformazione. Se non ci è riuscito Grillo, le sirene renziane e neppure l’offerta politica centrista di Calenda, vuol dire che questo schema è solido e quindi va solo usato. Seguendo la sua lezione.
Ciò vuol dire che torneranno i tempi delle incompatibilità e delle differenze inconciliabili che tanto male hanno fatto al sistema istituzionale. Le due minoranze che si combattono sono entrambe sul 40% e nessuna prevale davvero fino fondo superando la metà del Paese. Nessune delle due parti vuole cedere la sua pozione ed anzi la radicalizza ed esaspera seguendo il suo esempio. Più si cerca il nemico giusto, più si cresce.
In questo Silvio era un maestro. Comunisti – che per lui era chiunque non lo votasse –, magistrati, poteri forti a lui ostili, ognuno di questi è stato il suo miglior alleato. Invocando il consenso popolare per salvarsi dalle ingiustizie che il “nemico” voleva perpetrare a danno suo, e quindi del Paese.
Questa tornata elettorale sarà ricordata per questo. Per aver il suo nome trionfato nelle urne, difeso uno dei simboli più votati rispetto alle preferenze espresse, e per aver riportato alla ribalta la dinamica dei poli, pur essendo un’elezione proporzionale. Tutti hanno guardato alla somma dei partiti delle coalizioni oltre che al singolo risultato, manifestando una piena adesione a questo schema. Siamo e restiamo bipolari. Optimates e populares, guelfi e ghibellini, monarchici o repubblicani, fascisti o comunisti. Siamo un popolo che ama spaccarsi, dividersi, inseguirsi ben oltre il lecito. Per poi trovarsi ad urlare i peggiori insulti contro l’amico ed il vicino, il parente o il genitore del campo avverso. Capita poi che la Storia faccia i capricci ed imponga di stare assieme. Come con Ciampi, Monti o Draghi, ma tutti dimenticano in fretta quelle stagioni, in cui si producono i veri cambiamenti, per tornare a fare il tifo ed a dividersi. Questo aveva intuito ed utilizzato Berlusconi e la sua lezione è che il nostro carattere come nazione ha un sua profondità e prevedibilità che lui, con le sue innegabili doti, aveva compreso ed usato.
È passato un anno. Ma i commenti alle elezioni dei giorni scorsi sono gli stessi di quelli di quando lui era in piena attività, le stesse ironie sarcastiche nel prendersi in giro tra la Meloni e la Schlein, gli stessi commenti sulle potenziali alleanze con il centrodestra alle prese con le fibrillazioni interne ed il centrosinistra spaccato su quasi ogni cosa tranne l’avversione alla Meloni.
Perciò il tempo che è passato ci obbliga a prendere atto che chi non c’è più e vive ancora nella società, come lui, aveva solo forse un grande merito. Essere un arcitaliano convinto, certo di conoscere se stesso ed il Paese come nessun altro. Sapendo che avrebbe vinto anche nella sconfitta, che ci sarebbe stato anche con la sua assenza, che sarebbe stato eletto anche se passato a miglior vita. È passato un anno. Ma ancora oggi.
Lui sapeva di essere la somma di tutti i nostri difetti peggiori e dei nostri pensieri più nascosti ed aveva il merito di renderli nobili e chiari. Perché in fondo ogni di noi vorrebbe avere una vita come la sua ed essere, ad un anno della morte, ancora vivo e vegeto nelle nostre più intime pulsioni e nella società che lui conosceva. È passato un anno. Ma ancora oggi.
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