L’obiettivo era quello di realizzare una sorta di “rivoluzione liberale” dello Stato, anche se, alla fine, dell’intuizione originale di Forza Italia è rimasto poco. Creando un nuovo partito, nonostante il parere contrario di Letta e Confalonieri, Silvio Berlusconi voleva lasciarsi alle spalle la politica dei Governi inconcludenti, che non decidevano mai niente, puntando su una pubblica amministrazione più efficiente e su un radicale intervento sullo stato sociale.
Ma gli alleati che si è scelto non lo hanno sostenuto in questo sforzo. Nel tempo così Forza Italia ha perso peso nel centrodestra: “Lui coniò lo slogan del “teatrino della politica” – spiega Giuliano Urbani, politologo, tra i fondatori di Forza Italia, ministro in due Governi presieduti da Berlusconi – ma non ha mai capito la politica. Il teatrino alla fine si è vendicato”.
Qual è stata l’intuizione originale che ha portato a fondare Forza Italia?
L’intuizione si divide in due parti. Dopo un percorso che coinvolse anche l’avvocato Agnelli gli dissi: “Sia la Democrazia cristiana, sia il Partito comunista sono in grave crisi di prospettiva. I Governi sono stati per tanti anni inconcludenti e gli italiani non ne possono più. Lo spazio per fondare un partito di tipo liberale come vuole lei c’è. Naturalmente si tratta di organizzarlo bene”. Mentre i suoi amici Gianni Letta e Fedele Confalonieri gli dicevano di non pensare a questa ipotesi, io lo invitai a riflettere molto attentamente, operativamente, sull’idea, che lui aveva già in testa per conto suo. L’altra ragione era che lui era stufo, come mi disse, dei politici inconcludenti, Craxi compreso: non decidevano mai nulla. Erano gli anni del debito pubblico e del probabile azzeramento delle risorse delle pensioni: non era robetta da poco.
Quindi a che partito pensava? E su quali contenuti voleva puntare: uno Stato più efficiente, la diminuzione delle tasse?
Voleva un partito liberale di massa. E pensava a un radicale intervento sullo stato sociale: andava a Patrasso la sanità, la pubblica amministrazione, andava a Patrasso tutto. Avevamo il dovere morale oltre che politico di fare delle riforme per rendere tutto questo fattibile.
Quanta parte si è riusciti a realizzare di quel programma e cosa è rimasto oggi di quella esperienza?
Purtroppo è rimasto molto poco. Innanzitutto Berlusconi sbagliò gli alleati: remavano contro. Alleanza nazionale non voleva la riforma della pubblica amministrazione, la Lega non voleva la riforma delle pensioni. Purtroppo lui si è accomodato, ha trovato dei compromessi con queste forze politiche. La conclusione è che gli hanno praticamente impedito quel tanto di liberalismo economico, sociale, istituzionale che noi volevamo attuare.
Sono falliti anche i tentativi di cambiare le istituzioni?
Per quanto riguarda le riforme istituzionali io ho lavorato in Parlamento, nella Camera come in Senato, a quello che voleva Massimo D’Alema quando era presidente della Bicamerale, cioè il modello francese. Quelli che non lo volevano erano gli alleati di D’Alema nel suo partito: Veltroni remava contro, remavano contro i leghisti e anche An, che voleva un presidenzialismo secco e duro. Andava bene per Fini ma non andava bene per gli italiani.
Qual è oggi l’eredità politica di Berlusconi e c’è qualcuno che può raccoglierla?
No e sì. A quel livello di Governo riformatore l’eredità non la raccoglie nessuno. Meloni promette buon senso e soprattutto riesce in una cosa che è rara tra i politici: dice una cosa ma poi cerca di riparare agli effetti che questa produce. Quando la accusano di fare l’ondivaga bisogna tenere conto che, con il Parlamento che ha, un po’ ondivaga deve essere, perché altrimenti le bocciano tutto. Sta mostrando di avere delle qualità di direzione della vita politica molto superiori a quelle che immaginavamo. Poi c’è lei sola, speriamo che non sbagli troppo.
Nella sostanza, però, non c’è nessuno che raccoglie veramente quell’eredità?
No. Con Berlusconi scompare il Berlusconismo.
Qualcuno dice che è stato l’inventore del populismo: è così?
È una caricatura che si fa perché lui e Forza Italia sono stati il primo tentativo di partito popolare di massa. Lo aveva fatto la Democrazia Cristiana, storicamente appoggiata dalla Chiesa, ma era un’altra cosa. Sotto questo profilo capisco che i fallimenti di Forza Italia siano fallimenti sulla via del populismo. Adesso vediamo se la Meloni sarà populista o popolare.
Come mai nel tempo Forza Italia ha perso peso all’interno di un centrodestra che complessivamente conservava la sua forza elettorale? È dovuto anche al calo di leadership da parte di Berlusconi?
Quando me ne sono andato ho dovuto dire a Berlusconi perché davo le dimissioni, sia dal partito sia dal Parlamento. Ed ero ministro in carica. Avvisandolo, come è naturale, sono venuti fuori tutti i problemi, e si sono drammatizzati. Berlusconi non mi dava torto. Diceva: “Non ho gli alleati giusti per fare quello che voglio”. Ed è vero, sia An che la Lega remavano in una direzione diversa.
Dunque è rimasto con degli alleati di cui non si fidava.
Certo, ma così perdeva il fascino sul quale era nata Forza Italia. Ha compiuto il miracolo di presentarsi dall’oggi al domani e di arrivare al 20% perché rappresentava il fascino della novità.
Il partito adesso che fine farà?
Lì ci sono persone per bene, ma secondo me sarà una lenta agonia.
Quale ricordo personale ha di Silvio Berlusconi?
Lo ricordo come un uomo molto coraggioso perché fece Forza Italia quando sia Letta che Confalonieri gli dicevano di no. Mise in discussione anche il suo patrimonio. Mi ricordo con grande ammirazione e affetto questo coraggio. Così come mi ricordo con piacere la sua bontà nei confronti delle persone comuni, dei suoi collaboratori: il cuoco, gli autisti. Lo ricordo come un uomo buono.
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