Probabilmente la più grande “rovina” politica di Fausto Bertinotti è per quella “erre moscia” che ha contraddistinto il suo marchio di fabbrica ma che spesso lo ha avvicinato – assieme ai modi di fare e all’aspetto – più al mondo radical chic piuttosto che alle fabbriche, agli operai e alla base del Partito Comunista. Negli anni ci ha spesso “giocato” con quell’accusa di essere troppo “imborghesito” per essere un leader di sinistra, eppure nell’ultima bella intervista a Candida Morvillo su Sette-Corriere della Sera l’impegno a non passare solo per un “radical chic” sembra palesemente negli obiettivi del buon Fausto: «Ho sottovalutato l’onda contro la casta, ho reagito come in tempi in cui erano consentite buone frequentazioni e ho avuto la presunzione che aver distribuito milioni di volantini dovesse immunizzarmi dalle critiche. Dal punto di vista esistenziale, difendo tutto. Sulla tattica politica, dovevo essere più sorvegliato». Nel merito, davanti alla “accusa” di utilizzare i maglioncini di cashmere nelle serate-salotti denominati “BertiNight” l’ex fondatore di Rifondazione replica «Lo prese mia moglie Lella al mercato dell’usato, però quando la leggenda prese corpo, me ne furono regalati. Il più bello da due operaie di una fabbrica di cashmire. Me lo mandarono con una lunga lettera. Scrivevano: fa male ad arrabbiarsi per le polemiche, noi siamo proletarie e vorremmo che lei valorizzasse il nostro lavoro».



FAUSTO BERTINOTTI, DA COMUNISTA A RADICAL CHIC?

La politica comunque manca eccome a Fausto Bertinotti e non fa nulla per nasconderlo, anche se sotto una diversa accezione: «Mi sono mancati le donne e gli uomini con cui ho camminato, quel rapporto, l’assemblea, la riunione… Mai mi è mancata la politica istituzionale» spiega l’ex Pci su Sette. Prosegue poi nell’opera di de-mitizzare il suo lato borghese e “chic” arrivando fino a parlare di quei tre “Mao” di Andy Warhol appesi in salotto: «Regali ed eredità di Mario D’Urso. Tutti i quadri della casa sono donati o dagli autori, come i Dorazio, o da amici, come gli Schifano.Lella, scherzando, dice sempre: viviamo di carità». Illuminante come sempre il giudizio sulla politica attuale, con una decisa nota di disillusione che coglie Bertinotti davanti alle nuove generazioni: «Mi coglie in una fase di pessimismo. È un processo durato un quarto di secolo e acutizzato negli ultimi 15 anni. Però, sebbene abbia sempre pensato secondo il principio gramsciano del pessimismo dell’intelligenza e dell’ottimismo della volontà, a me rimane un ottimismo della speranza come lo intendeva Ernst Bloch, come intrapresa e investimento in ciò che accade e anche nell’imprevisto». Quell’imprevisto viene vissuto nella “rivolta” anche se la chiosa dell’intervista lascia il campo ad una citazione del Vangelo: «che bilancio farò agli imminenti 80 anni? Con autoironia, prendo in prestito San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Io certamente ho conservato la fede socialista».

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