Nell’occasione del quarantesimo anniversario della sua uscita in sala, ricordiamo il film di Nanni Moretti che più di ogni altro – forse – ha contribuito alla fama di autarchico purista del Cinema del suo autore. Si tratta di Bianca, terzo lungometraggio professionale del regista romano, qui per la prima volta in carriera affiancato per la sceneggiatura da un bravo professionista del settore come Sandro Petraglia, collaborazione che ha giovato molto alla completezza del progetto. Infatti. il film che ne deriva si presenta meglio strutturato rispetto alle due opere precedenti, giocate più su scenette emblematiche, eclatanti (anche se alcune delle quali molto incisive), che su un racconto cinematografico solidamente strutturato.
Anche i personaggi risultano disegnati con compiuta complessità psicologica, autonomi e perfettamente funzionali al racconto, in netta evoluzione rispetto alle macchiette estemporanee dei film precedenti. Quindi, per lo spettatore medio, non necessariamente cinefilo, Bianca si concede più intelligibile, meglio godibile. Non a caso fu il primo, inatteso, vero successo di pubblico di Nanni Moretti.
Il protagonista Michele Apicella (Moretti) è un professore di matematica, insegna in una scuola superiore della periferia romana, piena di personaggi e situazioni strane. Lui stesso conduce una vita doppia, dividendosi tra l’impegno a scuola e l’ossessiva osservazione – e laica censura – delle situazioni sentimentali ambigue di amici e colleghi. Mentre avvengono omicidi inspiegabili nell’ambito delle sue conoscenze, Michele comincia a frequentare la collega Bianca (Morante). Ma l’amore assoluto, ideale, la perfezione sentimentale che pretende da lei ovviamente non esiste. Incapace di continuare la relazione, infine Michele si consegna al commissario (Vezzosi) accusandosi degli omicidi (“Sono stato io… mi avevano deluso. Gli amici non possono comportarsi così, perché io mica divento amico del primo che incontro. Io decido di voler bene, scelgo. E quando scelgo è per sempre”).
Per questa sua terza fatica registica, Moretti si affida – come sempre sarà in carriera – alla solita cerchia di amici attori, più o meno professionisti. Laura Morante, già utilizzata in Sogni d’Oro (1981) è Bianca, la coprotagonista. Roberto Vezzosi è il commissario – alter ego di Michele -, mentre Dario Cantarelli dà vita e verve interpretativa al preside della scuola. Altri volti noti per il cinema morettiano completano il panorama, tra i quali spicca Remo Remotti, l’attempato semiprofessionista che interpreta Siro Siri, quello che “cucca” facile senza far nulla, invidiatissimo da Michele. Cameo per il padre di Moretti, il professore universitario Luigi, che recita la parte dello psicologo della scuola. Lo stesso Moretti sceglie anche stavolta, come nei due precedenti, di chiamare Michele Apicella il suo protagonista, usando il vero cognome della madre. Vezzo che molto ci dice sulla natura personale del cinema del regista romano.
Come si diceva, Bianca ha conosciuto un notevole successo di pubblico, dovuto in gran parte a un effetto di immedesimazione col protagonista, voluto dal regista e innescato dalla messa in scena di taglio hitchcockiano. Così, nelle vicende del film come nella figura del prof. Apicella, il grosso del pubblico vede i propri dubbi e le proprie debolezze, le stranezze come le piccole manie di cui tutti noi un po’ soffriamo. Mentre ai più attenti non sfugge una lettura più profonda, che equipara Bianca al mitico La finestra sul cortile (Hitchcock, 1955), abile metafora della natura voyeuristica del cinema stesso. In sostanza, con Bianca Moretti mette in scena l’atto del guardare e del “dirigere” gli altri personaggi (come infatti fa Michele per tutto il film).
Bianca, come pochi altre produzioni del decennio di riferimento (e oltre), contiene un notevole campionario di scene e battute entrate nella memoria collettiva dei cinefili, e non solo, di tutta Italia, che hanno contribuito a creare il mito del cinema morettiano. Ricordiamo il padre della fidanzata di uno degli alunni del professore che non conosce la Sacher Torte, che quindi si prende il rimprovero di Michele (“praticamente, lei non ha mai assaggiato la Sacher Torte… continuiamo così, facciamoci del male”); il monologo finale sulle scarpe, a metà tra filosofia del quotidiano e antropologia culturale: “ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo”. E poi la celebre scena della Nutella, con Moretti/Apicella che placa le sue angosce notturne (di carattere freudiano: è la prima notte con Bianca, forse la prima in assoluto con una donna) attingendo, nudo, la nota crema-cioccolato da un barattolone gigante. Fino alla chiosa finale, quando Michele, dopo la confessione al commissariato e prima di essere tradotto in carcere, chiede ai due poliziotti che l’accompagnano al cellulare se abbiano dei figli, e poi conclude “…è triste morire senza figli”. Nota apparentemente noir, invero quasi poetica, posta alla conclusione di un film che, seppure alla maniera spiazzante e istrionica di Nanni Moretti, è capace di toccare l’universo di sentimenti che ruota attorno all’umano desiderio di amare ed essere amati, e con esso l’animo profondo di ciascuno.
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