La giornata di Biden in Italia ieri è iniziata con un tono simbolico di grande rilievo: prima le autorità spirituali, poi quelle mondane. Spicca il Cardinale Parolin: con lui si sarà discusso anche dei problemi dell’interruzione di gravidanza – per un cattolico come Biden tema centrale – nello sfondo della turbolenza della Chiesa Cattolica nordamericana, che negli ultimi anni ha raggiunto punti inconsueti che non si riscontravano più dai tempi di Marcinkus per lo scandalo dello IOR.



Ma fa testo la successione degli incontri mondani: il Presidente della Repubblica, alleato atlantico più fedele quanti altri mai, per il suo essere stato vicepresidente del Consiglio al tempo della presidenza D’Alema e dei bombardamenti in Serbia. D’Alema ha recentemente scelto un altro orizzonte diplomatico-imprenditoriale, ma Mattarella, pur sempre sensibile al no-soft power tedesco nell’Ue, trova, grazie all’asse con Mario Draghi, un nuovo slancio atlantico, come ai tempi delle guerre balcaniche.



Ciò che colpisce è la scelta di Biden di incontrare dopo Mario Draghi – di prammatica – il Presidente dei Presidenti, ossia Emmanuel Macron. Non si può non ricordare la cena marsigliese tra Macron e Draghi e il conflitto che si è di fatto aperto tra Francia e Usa dopo la recente stipulazione dell’alleanza indo-pacifica tra Usa, Australia e Uk che ha come elemento distintivo la ripresa di una strategia marittima di contenimento atomico alle ambizioni cinese in quel plesso decisivo del potere mondiale. L’escludere la Francia da quell’accordo fu una ingenuità e un grave errore. Se Biden vuole inaugurare – come dovrebbe – una nuova era che superi l’unipolarismo neo-militaristico fallimentare inaugurato e perseguito con determinazione dalla famiglia Bush e continuato senza fermezza ma con decisioni sempre disastrose da Obama, salvo che negli ultimi tempi del suo mandato, deve cambiare strategia e in fretta.



In quegli ultimi tempi obamiani risiedeva l’indicazione che oggi Biden, dopo il ritorno all’unipolarismo di Trump – dettato dalla gravità dell’ascesa cinese non prevista perché la Cina continua a essere non compresa nella sua pericolosità -, può recuperare. Forse non è troppo tardi e va dato merito a Trump di aver compreso che la Cina, disvelatasi nella sua aggressività maoista in forme nuove, andava e andrà fermata. Il problema infatti è duplice: da un lato, non può più esistere un concerto internazionale simile a quello europeo post-napoleonico e che è durato, pur con scricchiolii, sino a Sarajevo, sino alla Prima guerra mondiale. E questo perché nessuna potenza, neppure la Germania nazista, è stata così revisionista e imperialista come la Cina, protesa al dominio tecnologico-militare del mondo. Ed è questo che la Germania, in un paradosso fantastico della storia mondiale, non comprende nella sua perversione economicistica.

Perché tale perversione è fondata sul dominio estrattivo, strutturale dell’economia deflattiva di una nazione – la Germania – che acquista merci dei vassalli sud europei grazie ai bassi salari e ai mercati interni sempre più impoveriti imposti ai vassalli medesimi, che vedono così declinare anche i loro profitti capitalistici. E la Francia, con l’Italia sono le nazioni tra le più colpite. Gli Usa di Biden non possono affrontare il roll back inevitabile nei confronti della Cina senza dover ricostruire un sistema di alleanze stabili – anche se a geometria e a flussi di dominio variabili. E questo perché l’egemonia Usa si sgretolò, dopo la sciagurata guerra in Iraq: essa ha segnato una faglia non più risolvibile con quell’intervento a dispregio dell’Onu e della non co-belligeranza franco-tedesca.

Tale perdita di egemonia impone agli Usa l’apertura di un nuovo ciclo, inedito sino a oggi nella leadership mondiale: una nuova centralità senza egemonia ma fondata su un nuovo sistema di relazioni internazionali che sarà un oscillare continuo tra multilateralismo e policentrismo diffuso grazie alla superiorità militare e finanziaria. Ma il policentrismo avrà un suo ascendere di potenza sino alla cuspide del susseguirsi di gironi danteschi: al vertice ci sarà sempre il cerchio dominato dagli Usa. Un sistema centripeto Usa, dunque: tra multilateralismo e policentrismo.

In questo susseguirsi di cerchi l’Italia tornerà ad avere un ruolo di gestore mediterraneo, con la Francia dominante, di quello che sarà un continuo premere sulla Germania in Europa per farla arretrare dalla sua volontà di dominio terreste economicistico e nella sostanza filo-cinese. Ci sarà da stupirsi, allora, per il ruolo tutto diverso dalle attese di coloro che non comprendono i ritmi della storia che in questo nuovo assetto sapranno svolgere tanto la Russia quanto la Turchia: si continuano a sottostimare le capacità strategica di quelle classi dirigenti che via via disveleranno al mondo la capacità di unire dominio ed egemonia.

Il Mediterraneo, come sempre nella storia d’Italia, sarà il terreno di elezione di questo nuovo mondo.

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