Questa settimana Biden annuncerà con ogni probabilità un nuovo piano di stimoli all’economia questa volta concentrato sulle infrastrutture, “l’energia verde” e la sanità. Il piano dovrebbe essere finanziato anche con un aumento delle aliquote per le imprese e per i cittadini con redditi alti. Il nuovo piano sarebbe una novità perché gli stimoli approvati appena qualche settimana fa si sono inseriti nel solco di quelli della precedente Amministrazione ed erano in larga parta rappresentati da aiuti diretti alle famiglie e da un taglio delle aliquote. Il piano potrebbe valere da mille a duemila miliardi di dollari. Ci sono certamente diverse considerazioni da fare in un clima fortemente ideologico in cui vale l’assunto non dimostrato che le decisioni di investimento statali appartengano a una sfera insindacabile e scientifica.
Gli “investimenti” in infrastrutture non risolvono, neanche in America, i problemi di breve e medio termine dell’economia e del mercato del lavoro. Tra gli annunci e i cantieri passano diversi trimestri e prima del completamento delle opere anni. Nel frattempo l’aumento delle tasse sia sui privati che sulle imprese ha effetti “depressivi” perché le aziende assumono di meno e i consumatori consumano meno prodotti portando a una diminuzione delle entrate fiscali.
Gli importi di cui si discute difficilmente possono essere finanziati “veramente” con un aumento delle tasse sulle imprese e sui consumatori ad alto reddito. Un piano compreso tra mille e duemila miliardi comporterebbe un aumento del carico fiscale pro capite, per avere un ordine di grandezza, di diverse migliaia di dollari contando anche bambini e anziani. Sarebbe pensabile solo andando a prendere i soldi dalle tasche della classe media con tutti gli effetti depressivi del caso.
Nei fatti il piano di Biden può essere finanziato solo con un altro aumento del debito e con la fattiva collaborazione delle banche centrali almeno per i prossimi due o tre anni. Solo che mentre gli stimoli diretti portavano soldi direttamente nelle tasche dei consumatori questi interventi, in queste dimensioni, lasciano il consumatore medio senza benefici, gonfiano la spesa pubblica e causano inflazione.
La questione non è banale perché gli squilibri del sistema sono presenti dal 2008, perché la pandemia ha causato effetti sull’economia senza precedenti e perché l’inflazione sta già oggi colpendo i consumatori dove fa più male e cioè sulle spese meno discrezionali. I tassi sono già ai minimi e la banca centrale americana è già attivissima. L’unica spiegazione realistica è che il Governo americano pensi di risolvere il problema del debito con l’inflazione. La strategia è pericolosa.
Le scelte di spesa dei governi non sono il prodotto di un’analisi “esatta” ma sono fortemente influenzate da preferenze politiche e attuate da una macchina che non avrà mai l’efficienza del privato. Nei fatti si spostano le decisioni dal livello delle imprese e dei cittadini a quello del Governo che persegue obiettivi discrezionali, soprattutto in un clima così ideologico, potendo contare sul supporto delle banche centrali. Quello che accade è un aumento generalizzato dei prezzi “cattivo” che colpisce indiscriminatamente prima che gli effetti benefici delle decisioni di investimento arrivino a tutti. L’individuazione dei colpevoli, le imprese speculatrici e i ricchi egoisti, è tanto facile quanto scorretta.
Pensare di far uscire l’economia dalla crisi con un piano colossale di investimenti fortemente “ideologici”, dopo dodici anni dalla crisi Lehman, e con le banche centrali già al massimo, rischia di cambiare modello economico nei fatti ponendo le premesse per una statalizzazione dell’economia pagata, via inflazione, dalle famiglie. Il risultato non è l’incremento sperato della produttività.
Per noi europei c’è un elemento in più. Le disfunzionalità economiche dell’Unione sono state curate negli ultimi dodici anni dalla salute, certamente irresponsabile, del consumatore americano. Non è chiaro cosa possa succedere se il consumatore americano si ritira perché l’America si impegna in un piano molto più “europeo” e molto più statalista.
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