Francesco Scisci ci ha recentemente ricordato su Formiche che “siamo alla vigilia di elezioni cruciali in Iran (il 1° marzo), dell’apertura dell’Assemblea nazionale del popolo in Cina (il 5 marzo), delle presidenziali in Russia (il 15 marzo) e della prossima tornata di primarie repubblicane”. E giunge, di fatto, a far presagire che la conclusione di questo dramma si configurerebbe con l’apertura, la messa in campo, di un gioco di potenza il cui l’esito sarà quello per cui l’Ue si dovrà confrontare con un’ipotesi (quella di Trump, se vincesse le elezioni) che mira ad affidare le sorti dell’Europa… alla Russia, abbandonando l’Europa tutta al suo destino di potenza non solo disunita, ma addirittura addormentata, narcotizzata dal suo pacifismo imperante.
Ci sono molte ragioni per impensierirsi, soprattutto se si guarda dall’alto il dislocarsi della potenza mondiale in frantumi. Se si considera che l’Assemblea del Popolo si terrà senza che si sia convocato il Terzo Plenum del Pcc – che è un appuntamento decisivo del Comitato centrale allargato per sistemare il gioco di frazione e trovare i nuovi equilibri volta a volta da ricostruire sotto la direzione neomaoista ultracentralista di Xi Jinping -, ben si comprende perché continui senza sosta la disgregazione delle relazioni internazionali. Anche la Cina trema, barcolla, con conseguenze che giungono in primis là dove giungono sempre, da secoli, quando i sistemi di potere barcollano, da Alessandro il Grande in poi: nel plesso del potere mondiale che va dall’Heartland alla Mesopotamia, al Grande Medio Oriente e ai suoi mari.
Gli Accordi di Abramo sono in discussione e il pogrom di Hamas ha disvelato l’uso spregiudicato dei nazionalismi islamici in funzione anti-israeliana e anti-Usa da parte dell’Iran e della Russia. Non a caso la perdurante guerra delle etnie malesi contro la giunta militare continua, senza che la Cina trovi una mediazione possibile e segnala che le rotte del commercio mondiale sono minacciate non solo laddove oggi si addensa l’attenzione. Inoltre, la brace africana continua ad ardere, sfrangiando ogni giorno di più l’ultimo impero post-coloniale esistente: la Francia.
La disgregazione, lo si deve ben comprendere, continua perché si disgregano le nazioni piccole e grandi che, avendo tutto (o quasi tutto) delegato il potere e la legittimazione ad autorità centrali extra e sovranazionali, perdono quella legittimazione, con il controllo – insieme – delle risorse essenziali del potere statuale, consegnandosi ai frattali di un mondo che tracima nel disordine permanente e che viene governato solo dalla potenza, senza politica internazionale diplomaticamente intesa.
Aveva ragione Otto Hintze: lo Stato è un popolo unito da una comunità di destino. Ma oggi gli unici popoli che potrebbero costituirla – quella comunità di destino – sono, ahimè!, quelli dominati da autocrazie e dittature che non a caso non delegano potere alcuno a istanze sovra-statuali non elette: sono forme di autoritarismo più o meno dittatoriale che non esitano a incarcerare torturare, uccidere. E tutti tacciono: sentite l’assordante silenzio in cui lasciamo gli eroi e le eroine del dissenso russo!
Ben si comprende quali “pseudo-comunità di destino” possano scaturire da tali statualità dimidiate: il destino del soffocamento del popolo e della sua sostituzione con un manichino senza volontà e, quindi, senza quella fondazione del potere statuale che vive di legittimazione.
In fondo viviamo in un mondo senza contratto sociale: sia questa negazione quella tecnocratico-poliarchica, sia quella dittatoriale-poliarchica, il risultato è sempre la disgregazione dell’ordine sociale. E senza ordine sociale e statuale non può esistere neppure l’ordine internazionale, perché le relazioni internazionali vengono sostituite dalle relazioni di pura potenza (non a caso questo è il tempo triste della geopolitica).
Di qui il cortocircuito da cui sfuggono in parte solo gli Usa, perché in grande misura quelle autorità senza autorevolezza compulsiva dominano. E qui sorge il problema: l’unica autorità senza autorevolezza che non dominano appieno è, però, l’Ue, dove l’intelligenza neo-hegeliana dei regolatori francesi si è amalgamata con il neo-cameralismo tedesco – politica dell’austerità docet -, con i risultati devastanti che il rombo dei motori degli agricoltori di nuovo disvela.
Putin comprende benissimo la situazione e sa che una delle possibili vie di uscita ricercata dagli Usa è quella di allargare il fronte anti-russo in Europa via Nato e via neo-pacifismi anti-russi nazionali, ponendo in discussione l’esistenza stessa dell’impero russo (per gli imperialisti ortodossi putiniani). Con conseguenze devastanti.
Perché questo è il problema che Usa e Ue si ostinano a non riconoscere: non comprendono che il gruppo oligarchico oggi dominante la Russia ha una visione imperiale e non nazionale. È minaccioso per sua intima natura, appena percepisce, a torto o a ragione, di essere minacciato nel suo delirio imperiale e imperialistico. Occorre esserne consapevoli e non inquietare l’orso senza esserne, però, dominati. Di qui la necessità dell’arte diplomatica per eccellenza.
Una visione ben diversa da quella di Gorbaciov ch’era di integrazione con Ue e Nato in un’unica centralizzazione capitalistica, come insegnava allora il modello cinese del tempo, che aveva condotto infatti la Cina nella Wto già nel 2001. Invece, la Russia, fallita questa strada – per la reazione nazionalista putiniana e oligarchica non cosmopolita che Eltsin aveva fatto di tutto per rendere possibile (e sarebbe stato un caso da manuale della più gigantesca borghesia vendidora sino ad allora mai apparsa al mondo in una misura così grandiosa) – si è consegnata (con la pesante complicità della Chiesa Ortodossa russa) a un nuovo regime neo zarista, che trasforma ogni percezione di aggressione in preparazione della guerra mondiale anche nucleare, che Putin interpreta con il terrore di coloro che conoscono la storia russa (come chi scrive).
Il sangue freddo dei gruppi dirigenti europei e nordamericani è allora oggi più indispensabile che mai: sarebbe più indispensabile che mai. Per questo è folle il discorso recente pronunciato da Macron che auspica un intervento delle truppe dei singoli Stati europei in Ucraina in difesa di quella nazione contro l’ impero russo. Sarebbe l’anticamera della guerra mondiale nucleare.
Macron è spinto a ciò dalla devastante delegittimazione che lo ha colpito, per la sua politica divisiva e dissennata, tanto sul piano sociale, quanto su quello politico. Un esempio da manuale di come si possa disgregare il mondo e far finire nella polvere il cuore culturale dell’Europa e – con l’Europa – del mondo.
In questa tragedia, in questi giorni di tragedia, dove le conseguenze del pogrom di Hamas provocano ogni giorno strumentalizzazioni crescenti della necessità per lo Stato e il popolo israeliano di difendersi dal nuovo mondo genocidario che avanza, Joe Biden, che ci risulta essere il Presidente degli Stati Uniti d’America, parla delle drammatiche vicende in corso mangiando un gelato con un presentatore tv e nulla fa per impedire la diffusione di quello scempio comportamentale.
Che ci si avvii alla fine del mondo? Che il grande Shakespeare avesse ragione?
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