Un procedimento giudiziario ucraino rischia di “inguaiare” Joe Biden. Sono state infatti pubblicate le registrazioni di colloqui telefonici tra l’ex presidente Petr Poroshenko e l’ex vicepresidente Usa durante l’amministrazione Obama (ed è spuntata anche una mail che aggrava l’Obamagate). La svolta è arrivata dopo che Andrey Derkach, deputato della Rada, ha consegnato alla magistratura una chiavetta con dei “documenti compromettenti”. L’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina ha aperto un procedimento giudiziario contro Poroshenko con l’accusa di alto tradimento e successivamente il portale 112.ua ha reso pubbliche le registrazioni dei colloqui telefonici intercorsi tra il 2015 e il 2016 tra Poroshenko, Biden e Kerry. Queste registrazioni, come ricostruito da Il Manifesto, non aggiungono niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva, nello specifico del tentativo esplicito da parte degli Stati Uniti di mettere sotto tutela la politica e l’economia dell’Ucraina come se si trattasse di una colonia. Ma potrebbe essere un “assist” a Trump nella nuova corsa per la Casa Bianca.



BIDEN, PRESSIONI SULL’UCRAINA: LE INTERCETTAZIONI

Nel primo colloquio tra Petr Poroshenko e John Kerry, l’ex vicepresidente Usa Joe Biden viene chiamato in causa indirettamente in relazione alle vicende di Burisma, compagnia bancarottiera petrolifera ucraina di cui il figlio Hunter era consulente. Nella conversazione l’allora segretario di Stato Usa chiedeva in maniera esplicita al presidente ucraino di licenziare il procuratore Viktor Shoking perché stava indagando su Burisma. In ballo finisce un miliardo di dollari che rischiavano di non arrivare in Ucraina se le cose non si fossero aggiustate. In una telefonata del 22 marzo 2016, invece, Joseph Biden non fa giri di parole: «Se ci sarà un nuovo governo e un nuovo procuratore generale, sarò pronto a firmare pubblicamente prestiti per 1 miliardo». Le dimissioni del procuratore arrivarono in maniera puntuale. Ma non finì lì, perché poi, come riporta Il Manifesto, Poroshenko propose un suo uomo come procuratore, Yurii Lutshenko, ma chiedendo pure il “permesso” agli Stati Uniti: «Sempre che a te vada bene».



CASO UCRAINA UN ASSIST PER TRUMP?

L’aspetto sconcertante di questa vicenda è la “sottomissione” del presidente ucraino, di uno Stato sovrano eletto dal popolo, nei confronti di un’altra nazione. La valenza di questa vicenda però è marginale a livello interno, perché il ruolo politico di Petr Poroshenko è marginale al momento, anche perché ci sono 16 indagini giudiziarie in corso a suo carico. Ma l’incriminazione dell’ex presidente ucraino è una “carta” nelle mani di Donald Trump. Ricordiamo infatti che Joe Biden ha accusato il presidente americano di aver fatto pressioni sull’attuale leader ucraino Zelensky per ottenere l’incriminazione del figlio. Ma proprio in autunno i giudici potrebbero chiamare a deporre Biden e Kerry. Questa vicenda potrebbe allora servire a Trump per recuperare i sei punti che al momento dividono Trump e Biden nei sondaggi. Ma i giornali americani di area dem gridano al complotto: secondo il Washington Post è uno scandalo simile a quello del 2016, quando furono hackerate e pubblicate le e-mail del candidato democratico Hillary Clinton.



UNA MAIL AGGRAVA OBAMAGATE

Intanto una mail aggrava l’Obamagate. Nello studio ovale si spiava Donald Trump? Il direttore della National intelligence, Richard Grenell, ha desecretato parte di una mail che Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, inviò a se stessa il 20 gennaio 2017. Si parla di un incontro avvenuto nello studio ovale sulle presunte collusioni tra il generale Mike Flynn, in procinto di diventare consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, e il Cremlino. A quell’incontro presero parte Obama, Biden, il viceministro della Giustizia Sally Yates e il direttore dell’Fbi James Comey. Non c’erano prove sul fatto che Flynn avesse potuto trasmettere informazioni sensibili, eppure Comey continuò a indagare e arrivò a consigliare a Obama di non condividere informazioni con l’amministrazione entrante. Secondo quanto riportato da La Verità, le ipotesi sono due: o si credeva realmente che Flynn fosse una spia russa, ma in tal caso non informare Trump avrebbe costituito un attentato alla sicurezza nazionale, oppure si stava cercando un pretesto per colpire il generale e di conseguenza lo stesso Trump.