Nella intervista al Sussidiario di Andrew Spannaus, il riconoscimento da parte di Biden della Russia come una grande potenza è definito il risultato più importante dell’incontro con Putin. Sembrerebbe un’affermazione ovvia, vista la decisa presenza di Mosca in un numero consistente di scenari internazionali, ma nell’intervista si ricorda che Obama definiva la Russia una “potenza regionale”. Biden era allora vicepresidente e si può quindi parlare di un’inversione di marcia decisamente positiva, dato l’interesse generale di sottrarre Mosca da una pericolosa, anche per la Russia, alleanza con Pechino.
Non deve essere stato facile per Biden porgere questo riconoscimento a un personaggio da lui definito “un killer”. Il carattere innegabilmente autoritario del governo di Putin, le repressioni verso le opposizioni, di cui il caso Navalnyj è il più recente, rimangono un problema consistente. Tuttavia, come avverte Spannaus, a Putin potrebbe succedere qualcuno peggio di lui: un regime change con esiti ancor più disastrosi di quelli dei nation building finora tentati dagli Stati Uniti.
A quanto sembra, Putin ha reagito alle accuse di Biden, prendendo spunto dalle mancanze della democrazia statunitense. Pare, per esempio, che abbia citato l’assalto al Campidoglio del gennaio scorso, che in qualche modo ricorda l’assalto al Palazzo d’Inverno nel 1917, finito però con la vittoria dei bolscevichi. Ha forse anche accennato al fatto che lo sconfitto Trump continua a parlare di brogli e che, per converso, quando aveva vinto lui le precedenti elezioni si era tentato di mandarlo sotto processo. Roba che avrà ricordato a Putin le vicissitudini dell’amico Lukashenko.
D’altra parte, proprio la Russia era accusata di interferenze nelle elezioni e di hackeraggi, ma ora Biden ha affermato che si tratta di operazioni di bande criminali, non necessariamente collegate a istituzioni governative. Così si è evitato di dover parlare dello spionaggio sulla Merkel e altri politici tedeschi, ad opera di un’agenzia federale come la Nsa. E per quanto riguarda l’annessione della Crimea, Putin avrebbe fatto notare che ha evitato di bombardare Kiev, a differenza di quanto fece la Nato su Belgrado per separare il Kosovo dalla Serbia.
Inoltre, Putin avrebbe potuto chiedere perché Washington non ha incriminato il regime saudita per l’assassinio di Jamal Khashoggi, malgrado secondo la Cia il mandante fosse il principe Mohammed bin Salman. Invece, Riyadh continua ad essere un importante alleato degli Usa. Probabilmente, Putin non ha alcuna remora ad ammettere di reprimere i suoi oppositori, ma ricordando che negli Stati Uniti è la polizia che spara su cittadini inermi, particolarmente se neri, e costoro reagiscono con le barricate per le strade.
Non è certamente mia intenzione porre sullo stesso piano l’autocrazia russa e la democrazia statunitense, ma sembrano passati i tempi in cui quest’ultima poteva erigersi a giudice e governatore del mondo. Anche negli Stati Uniti ci si rende sempre più conto della fine precoce del “secolo americano”, per l’evolversi della situazione sia interna che esterna. Biden, pur riaffermando gli Stati Uniti come la più grande potenza mondiale, sembra cosciente della necessità di confrontarsi con altre potenze, non solo con la totalitaria Cina, ma anche con l’autoritaria Russia e con la nascente potenza nazionalista dell’India. Tutti Stati che corrispondono poco o affatto al modello che vorrebbero gli Stati Uniti e, in genere, l’Occidente.
In questa descrizione sono da inserire due “zeppe”: la Nato e l’Unione Europea. La prima, a fronte delle “aperture “ di Biden verso Mosca, ha indicato ancor più nettamente la Russia come il nemico principale, con qualche iniziale accenno alla minaccia cinese. Il ribadire la prossima entrata nell’Organizzazione di Ucraina e Georgia dà a Putin una buona occasione per proclamare l’accerchiamento ostile della Patria Russa da parte della Nato e di chi la dirige, gli Usa. Al di là delle dichiarazioni apparentemente distensive di Biden.
Riguardo all’Unione Europea, l’atteggiamento di Biden appare, almeno nelle modalità, più “comprensivo” di quello di Trump. Ho messo le virgolette, per indicare non solo una maggiore disponibilità verso gli alleati, ma anche l’intenzione di ricomprenderli totalmente nella sfera di influenza di Washington. E qui torna in gioco la Russia, uno degli elementi di divisione nell’Ue, tra le paure dei Paesi ex satelliti dell’Europa Orientale e la maggiore disposizione a intrattenere rapporti distesi di Germania, Francia e anche Italia.
Ho prima accennato alla capacità di Putin di sfruttare caratteristiche peculiari russe, come la sindrome da accerchiamento, e l’Occidente sta fornendo altro buon materiale. Per esempio, con la cosiddetta “cancel culture”, il tentativo di una parte dell’opinione pubblica occidentale, non di sottoporre a revisione alcuni aspetti della propria storia, ma di cancellarli del tutto e senza discussioni. Un buon argomento per la propaganda del regime russo presso un popolo ancora orgoglioso della propria storia e che, poco più di un mese fa, ha celebrato la sconfitta dell’invasore nazista nella Grande Guerra Patriottica, una vittoria del popolo russo, che accomunò nella tragedia comunisti e non comunisti.
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