Ieri in un discorso atteso Biden ha affrontato la questione economica a sei mesi dalle elezioni di mid-term e con gli indici di gradimento ai minimi. Il Presidente ha dichiarato che “l’inflazione” è in cima alla lista delle sue priorità di politica interna. Da diversi mesi si segnalano incrementi annuali dei prezzi che non si vedevano dagli anni ’80 con punte, si pensi al settore residenziale, che toccano la carne viva delle famiglie americane. Le cause di questo aumento secondo il Presidente sono due: la pandemia che ha colpito le catene di fornitura globale e la guerra in Ucraina. La seconda motivazione è discutibile visto che i record sull’inflazione degli ultimi tre o quattro decenni hanno cominciato a essere aggiornati almeno due mesi prima della guerra. Non solo. Gli incrementi del prezzo del gas, del petrolio, dei fertilizzanti e di tante altre materie prime sono cominciati all’inizio dell’estate del 2021 ben prima del conflitto in Ucraina. La pandemia, invece, ha colpito le catene di fornitura globale creando colli di bottiglia e rallentamenti che hanno messo in discussione un modello, quello della “globalizzazione”, che durava da qualche decennio.
I primi dazi contro le importazioni sono dell’era Obama e Trump li ha usati per provare a ricostruire la base manifatturiera americana che si è spostata in Cina togliendo agli americani posti di lavoro stabili e dignitosi. La dialettica tra Cina e Stati Uniti è un tema bipartisan che è stato fatto proprio anche dai principali candidati democratici sia nell’anno della vittoria di Trump che in quello della vittoria di Biden. Il peggioramento delle relazioni internazionali spinge gli Stati a privilegiare la sicurezza dei propri approvvigionamenti rispetto alle “ragioni della finanza” o “del profitto”; è un tema di attualità perché non passa giorno che questo o quello stato non annunci il blocco delle esportazioni di qualche bene. Questi cambiamenti potrebbero essere “gestiti” a patto di far rientrare le produzioni. Se le catene di fornitura si rompono e la scarsità di quel componente o di quella materia prima fanno esplodere i prezzi la soluzione di medio-lungo termine sarebbe quella di “riappropriarsi” della produzione. La soluzione al blocco delle importazioni di gas russo è quella di assicurarsi una disponibilità il più possibile vicina a quella che si perde. “L’Occidente” paga almeno un decennio di bassi investimenti in materie prime e fabbriche.
Le due soluzioni proposte da Biden per contenere l’inflazione non contemplano nulla di tutto questo. La prima leva, nei piani di Biden, è la Federal Reserve che “dovrebbe fare e farà il suo lavoro”; il percorso di rialzo dei tassi della banca centrale americana incassa il supporto di Biden. Il calo dei mercati potrebbe essere venduto politicamente come il sacrificio imposto ai ricchi per salvare il potere di acquisto delle famiglie americane. La seconda leva è la politica energetica. Biden cita l’uso di biocarburanti, l’investimento in rinnovabili ed efficienza energetica e infine tasse sulle società petrolifera che non sviluppano le concessioni.
L’uso di biocarburanti implica la destinazione di aree coltivabili, mentre il mondo fa i conti con un aumento record dei prodotti alimentari, per la produzione di bioetanolo. È una strategia che può avere senso solo avendo in mente il consumatore americano perché ogni chilo di grano o mais prodotti in meno per produrre biocarburanti sono un incremento di prezzo, o un pasto in meno, dall’altra parte del globo. Le rinnovabili costano molto di più delle fonti tradizionali. Nel settore energetico questa è un dato noto. Pensiamo, per esempio, ai costi enormi che si impongono sulla rete a causa della volatilità della produzione rinnovabile. Tralasciamo il lato ambientale oscuro di alcune rinnovabili. La Germania, che è forse il Paese al mondo che ha speso di più in rinnovabili facendo leva sul più grande surplus commerciale globale, non solo non si è svincolata dagli idrocarburi, ma oggi deve affrontare possibili blackout. Puntare l’indice contro le società energetiche invece è miope e controproducente.
Le società energetiche non investono, nonostante prezzi degli idrocarburi record, perché i Governi da anni dicono chiaramente di non volere più gas e petrolio. Oggi con i prezzi delle componenti esplosi e i timori sulla crescita globale le società energetiche tutto vorrebbero fare tranne che investire in un settore che i Governi dicono in tutte le salse di voler chiudere nel medio periodo e che ostacolano in ogni modo. L’Unione europea, per esempio, ha approvato norme che pongono paletti stringenti agli investitori e alle banche che vogliono investire in energia tradizionale.
L’unico elemento del piano di Biden che può funzionare è la Federal Reserve che ha il potere di mandare in recessione l’economia globale e, in particolare quella occidentale, e quindi far frenare l’inflazione. Se non si risolvono le questioni di fondo, l’energia a basso costo e programmabile e capacità produttiva che rimetta in piedi le catene di fornitura, si ottiene solo una vittoria temporanea pagata a carissimo prezzo con una recessione. Dopo di che il problema si ripresenta con maggiore forza.
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