In Europa si aggira uno spettro: “sian buone o male le intenzioni tue, tu vieni in tale dubitosa forma, ch’io ti voglio parlare… E mi rivolgerò a te come ad Amleto re, mio padre. E noi, come zimbelli di natura, siamo scrollati, per il raccapriccio, da pensieri che vanno oltre i confini della mente? Perché questo? A qual fine? Parla. Che cosa vuoi che noi facciamo?”



Lo spettro è quello di una guerra mondiale con l’uso di armi nucleari. L’amletico presidente degli Stati Uniti vorrebbe parlare allo spettro, forse vorrebbe seguirlo ma non vuole essere accusato di fomentare l’allargamento del conflitto e il coinvolgimento sempre più diretto del suo paese. Invece, secondo il New York Times, l’America ha fornito agli ucraini non solo un’enormità di armamenti (spendendo 47 miliardi di dollari in due mesi) ma soprattutto “il Pentagono ha aperto i rubinetti; abbiamo passato informazioni importanti a Kiev”, ha detto il capo di stato maggiore, il generale Mark Milley, in un’audizione al Senato contribuendo ad uccidere ben 12 generali russi (ma dalla Russia solo 2 generali sono stati dichiarati uccisi in battaglia).



Ovviamente, com’è avvenuto per l’affondamento della nave ammiraglia Moskva e poi, sembra, anche di una fregata russa nel Mar Nero, la responsabilità di queste azioni militari è degli ucraini che “dispongono di proprie informazioni (…) e individuano i comandi russi”, parola di John Kirby, portavoce del Pentagono. “È da irresponsabili scrivere queste cose”, ha dichiarato Adrienne Watson, la portavoce del Consiglio di sicurezza guidato da Jake Sullivan, poche ore dopo che il novello Amleto pronunciava un discorso di guerra congratulandosi con gli operai della Lockheed Martin perché accrescono l’arsenale democratico e difendono la libertà, sulla falsariga del discorso di FD Roosevelt nel 1940. La prestigiosa rivista del Council on Foreign Relations il 6 maggio ha pubblicato articoli che si chiedono “come salvare l’ordine post–guerra senza ripensare la difesa del sistema” oppure se “la politica estera di Biden non abbia bisogno di un reset”.



L’Amleto shakespeariano diceva “va pure avanti, ti raggiungerò (…) il mio destino mi grida d’andare”, ma Orazio ammoniva “non lo seguite, siate ragionevole (…) la fantasia lo fa farneticare”, mentre Marcello suggeriva “stiamogli dietro, non siamo tenuti davvero ad obbedirgli, in questo caso (…) c’è qualcosa di marcio in Danimarca” (oggi negli Stati Uniti). “Lo guidi il cielo”, sospirava Orazio. Il Marcello shakespeariano, in arte la sonnambula Europa, concludeva “sì, però seguiamolo”.

Quando la Russia si imbarcò per la prima volta nell’invasione dell’Ucraina, la risposta dell’America fu prudente e limitata, arrivando persino a proporre al presidente ucraino Zelensky di essere “esfiltrato”. Il 4 marzo, meno di due settimane dopo l’invasione, il segretario di Stato Antony Blinken ha definito gli obiettivi americani: come aiutare a difendere l’Ucraina e imporre un costo alla Russia attraverso le sanzioni, mantenendo aperta la porta della diplomazia e accogliendo un cessate il fuoco. Tre settimane dopo, Biden ha aggiunto che se questi obiettivi potessero essere mantenuti fino alla fine dell’anno, il presidente russo Vladimir Putin sarebbe stato fermato. A credito di Biden, la sua amministrazione ha resistito alle richieste precoci e potenzialmente devastanti di misure di escalation come l’imposizione di una no-fly zone sull’Ucraina.

Mentre si propagandava la percezione occidentale che l’esercito russo stesse fallendo sul campo di battaglia e si moltiplicavano i resoconti delle atrocità russe contro i civili ucraini, è sembrato che il controllo del messaggio dell’amministrazione Biden abbia iniziato a disintegrarsi o che l’obiettivo abbia iniziato a cambiare (o entrambi). Gli obiettivi dichiarati sono diventati contemporaneamente più ampi e meno precisi, così che le posizioni mutevoli dell’amministrazione hanno tutte le caratteristiche della missione strisciante: Biden accenna al cambio di regime il 26 marzo, “per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”; l’addetto stampa della Casa Bianca Jen Psaki diceva il 20 aprile che gli Stati Uniti stavano  “cercando la sconfitta strategica della Russia”; il segretario alla Difesa Lloyd Austin dichiarava il 24 aprile che l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di “vedere la Russia indebolita e punita al fine di privarla della capacità di invadere altri paesi”.

Spostarsi verso “indebolire la Russia” piuttosto che “difendere l’Ucraina” è particolarmente problematico. Con questa strategia di rivelazione-ritrattazione, la Casa Bianca dissipa le critiche contro i suoi obiettivi strategici più ambiziosi camuffati da reazioni tattiche. Non è chiaro cosa vogliano gli Stati Uniti: un confronto diretto con la Russia dotata di armi nucleari? Qual è il limite di “indebolimento” della Russia? Come si gestisce una Russia indebolita o, peggio, sconfitta? Il direttore di Limes nota che ormai “l’America entra in guerra” ma che gli obiettivi per dichiarare il “tipping point” (il punto di svolta) non sono chiari prima che si manifestino quelle che Putin chiama “reazioni inaspettate”, cioè l’uso dell’arma atomica.

La Russia ha una dottrina nucleare nota come “escalation to de-escalation” o, più precisamente, “escalation to win”, che contempla la minaccia o l’uso di armi nucleari all’inizio di un conflitto convenzionale. Non può essere un buon segno che Russia, Cina e Corea del Nord allo stesso tempo minaccino di lanciare le armi più distruttive del mondo. Poiché le democrazie occidentali si sono ampiamente dimesse e chiaramente non stanno combattendo in Ucraina, Pechino e Pyongyang vogliono successi simili a quelli russi: “Come Vladimir Putin, il Partito comunista cinese ha perso la paura del potere americano… le minacce nucleari della Cina smascherano… la percepita debolezza americana, espongono il rischio della mancanza di un deterrente nucleare regionale degli Stati Uniti ed espongono l’inadeguatezza degli Stati Uniti al comando” ha detto Richard Fisher dell’International Assessment and Strategy Center con sede in Virginia nel marzo 2022.

Qualunque sia il motivo delle minacce, Putin e Xi Jinping hanno detto a tutti cosa intendono fare: imporre agli Stati Uniti un vero negoziato per riscrivere le regole dell’ordine mondiale in chiave multilateralista. Sfortunatamente, i leader occidentali sono determinati a non crederci. In risposta alle minacce russe, il 28 febbraio il presidente Joe Biden aveva affermato che il popolo americano non dovrebbe preoccuparsi della guerra nucleare. Al contrario, oggi, “ci sono tutte le ragioni per preoccuparsi. In linea con il pensiero occidentale, presidenti e primi ministri hanno quasi sempre ignorato le minacce nucleari, sperando di non nobilitarle. Sfortunatamente, questa posizione ha solo incoraggiato i creatori di minacce a fare più minacce. Più tardi la comunità internazionale affronterà i bellicosi russi, cinesi e nordcoreani, più pericolosi saranno gli scontri. Il mondo, quindi, sembra che si stia avvicinando rapidamente al peggior momento della storia”. “Per gli esseri umani cogliere la profondità del momento storico è esercizio molto complesso. Travolti dalle circostanze, impegnati a sopravvivere, non percepiscono il frangente vissuto”, chiosa Dario Fabbri nell’editoriale della nuova rivista Domino. Il falco neodem Charles Kupchan (già direttore per gli affari europei del National Security Council 2014-2017, presidenza Obama) ritiene che Biden stia facendo di tutto per evitare l’escalation, ma ammette che “siamo in una fase molto pericolosa della guerra. Ci stiamo avvicinando al 9 maggio, quando la Russia celebrerà la vittoria della Seconda guerra mondiale. Qui a Washington ci aspettiamo che Putin possa annunciare qualcosa di clamoroso, per esempio l’annessione del Donbass, oppure la mobilitazione di altre truppe. Insomma, c’è il potenziale per un’ulteriore escalation” (Corriere della Sera, 6 maggio 2022).

Tutte queste valutazioni e informazioni sembrano frutto di una strategia che da un lato mostra quanto gli Usa temano che un asse tra Russia e Cina permetta il consolidarsi del mondo multipolare, con evidente relativizzazione della potenza americana; dall’altro mostrano il nervosismo e la debolezza dell’arsenale democratico e dei suoi riluttanti alleati. Ormai, per distrarre l’attenzione popolare, si usano espedienti hollywoodiani. Questo è il caso della nomina della nuova addetta stampa della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, di cui si esalta l’essere donna di colore e Lgbtq mentre si tace sui motivi delle dimissioni di Jen Psaki, anche lei donna e molto valorosa, che aveva annunciato le dimissioni nel maggio 2021 quando il presidente Biden decise di rinunciare alle sanzioni contro il Nord Stream 2 incoraggiando indirettamente la Russia a concludere che gli Stati Uniti avrebbero potuto accogliere le sue intenzioni ostili nei confronti dell’Ucraina. L’incoraggiamento alla Russia si è rafforzato il 31 agosto 2021 con il tragico ritiro delle forze americane dall’Afganistan, che già 10 anni prima l’allora vicepresidente Biden aveva fortemente sostenuto lamentando la mancanza di obiettivi strategici, il fallimento dello state building e la cronica corruzione dell’establishment.

Sul terreno, il perno della situazione, l’ago della bilancia tra escalation o de-escalation, continua ad essere l’acciaieria Azovstal di Mariupol. Nei suoi sotterranei ci sarebbero, oltre a qualche centinaio di milizie armate del noto battaglione neonazi Azov, anche un cospicuo numero di consiglieri militari inglesi, francesi, tedeschi, polacchi e americani, ci aveva fatto sapere una fonte ben informata dell’intelligence britannica. Non a caso anche l’Onu si è concentrata nell’evacuazione dei civili dall’area dell’acciaieria. Sarebbe fatale l’imbarazzo di veder uscire dai sotterranei prove concrete del coinvolgimento diretto di paesi occidentali o della Nato. I negoziati “umanitari” sono pericolosi, convulsi e soprattutto segretissimi, non a caso condotti anche da importanti inviati di potenze occidentali. Nei giorni scorsi era circolata la notizia, non verificabile, dell’arresto di un generale canadese diventato mercenario per gli ucraini, emerso dai tunnel della Azovstal. Ma l’elettoralmente sconfitto leader britannico Johnson e l’evanescente Biden continuano ad alzare il tiro, con ulteriori aiuti militari, facendo dichiarare al presidente ucraino che si “difenderanno fino alla fine” ma che è “disposto ad una trattativa con i russi se i confini ucraini restano intatti e le truppe russe tornano in posizioni precedenti all’invasione”. Se i negoziati sull’Azovstal fallissero, l’escalation militare da possibile diventerebbe molto probabile, con conseguenze gravissime. Biden dovrebbe tenere a mente il suo consiglio sull’Afganistan al presidente Barack Obama mentre affronta la Russia – e le sue 6mila testate nucleari – in Ucraina. Il 7 maggio il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una dichiarazione che finalmente sostiene gli sforzi per il ritorno alla diplomazia nella ricerca della pace e della sicurezza in Ucraina.

(1 – continua)

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