Gli investitori ieri mattina hanno appreso dai principali media finanziari, senza esclusione, della pessima performance di Biden nel primo dibattito pubblico con Trump per le elezioni presidenziali di novembre. L’esito è stato tale che agli investitori sono state offerte analisi sulle modalità e i tempi in cui il partito democratico potrebbe decidere di sostituire Biden; è una possibilità che dice molto di quanto sia indietro il Presidente in carica. Il dibattito ha comunque offerto spunti interessanti soprattutto per noi europei.
È significativo che la prima domanda abbia riguardato l’inflazione che è la principale preoccupazione dell’elettore americano molto più delle vicende internazionali. C’è un dato sintetico sull’inflazione e c’è l’inflazione percepita dalla classe medio e medio-bassa. L’inflazione cumulata su alcuni beni di prima necessità, alimentari su tutti, è molto superiore al dato medio, che oltretutto include ipotesi arbitrarie sul paniere. Sui social americani abbondano comparazioni su questa o quella spesa fatta nel 2021 o 2022 con quella attuale a parità di beni e marche. I rincari arrivano alle tre cifre. Questa lunga fase inflattiva ha lasciato ampie fasce della popolazione molto più indietro di altre, colpendole sul potere d’acquisto dove fa più male: nel carrello della spesa. Questo è il quadro in cui si vota negli Stati Uniti e che non è rappresentato dai dati mensili sull’inflazione.
Il dibattito ha lasciato intravedere alcuni cambiamenti decisivi in caso di vittoria di Trump. Il candidato repubblicano vorrebbe chiudere la guerra in Ucraina in breve tempo, non ha alcuna intenzione di continuare a finanziarla ai ritmi attuali e, in ogni caso, vuole che sia l’Europa a farsi carico del problema: “Abbiamo un oceano che ci separa. Le nazioni europee hanno speso complessivamente cento miliardi di dollari in meno di noi”. Ancora: “Perché (Biden) non li chiama e non dice loro di mettere più soldi come ho fatto con la Nato”. All’opposto, invece, Trump sarebbe disposto a sostenere maggiormente Israele e ammonisce Biden: “Dovresti lasciare che (gli israeliani) finiscano il lavoro”.
Trump vorrebbe una politica commerciale più dura contro l’Europa, rea di avere un surplus commerciale troppo elevato con gli Stati Uniti. Questo significa più dazi e forse maggiori acquisti europei di gas americano. L’Inflation reduction act di Biden è stato in qualche modo una guerra commerciale, anche se meno muscolare, e così è stato interpretato da molte parti in Europa. L’ex Presidente imporrebbe un’accelerazione.
Trump, anche formalmente, vorrebbe chiudere la transizione green: “Gli accordi di Parigi ci sarebbero costati mille miliardi di dollari; niente alla Cina, niente alla Russia e niente all’India”. Ancora: “Li ho chiusi perché erano uno spreco di soldi”. Biden non è su questa linea, eppure da novembre 2020 a marzo 2024 la produzione di petrolio americana è passata da 11,2 milioni di barili al giorno a 13,2. Poi c’è il gas. Se gli Stati Uniti chiudono con la spesa per la transizione, l’Europa rimarrebbe con il cerino in mano contro competitor, quelli nominati da Trump più gli Stati Uniti, che non vogliono pagare o penalizzare la propria industria e i propri consumi con la transizione. Come può poi l’Europa pensare di chiudere il surplus commerciale con gli Usa senza comprare gas e petrolio americani?
Biden è stato accusato per il deficit troppo elevato e per l’esplosione del debito pubblico. Qualsiasi tentativo serio, se mai Trump decidesse veramente di invertite la rotta, di riduzione del deficit è però destinato a suscitare tensioni dentro la società americana.
L’ultimo punto riguarda l’immigrazione. Soffermiamoci solo su suoi aspetti economici. Per Trump l’immigrazione mette sotto pressione la spesa per il welfare. L’immigrazione però agisce in senso deflattivo sul costo del lavoro. Bloccare l’immigrazione nel breve significa un’altra spinta alla salita dei prezzi.
Deficit e immigrazione rimangono due temi in sospeso ben oltre le elezioni di novembre. Sul resto, invece, il quadro comincia a chiarirsi.
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