Continuiamo naturalmente a seguirle, queste elezioni americane; ma la stanchezza si è già sostituita all’eccitazione iniziale: ci siamo un po’ stancati della ridda delle cifre, i giochini con le mappe, i pre-pareri e pre-giudizi: questi ultimi, forti soprattutto in Italia; dove è da un anno che tante dotte analisi geopolitiche e costituzionali si riducono in troppi casi a una dichiarazione non richiesta di voto per il candidato democratico, imitando i giornaloni americani. I quali ultimi peraltro avevano almeno la scusa di essere direttamente coinvolti, dunque potevano permettersi di buttare a mare le preoccupazioni di fair play; preoccupazioni che invece la nostra stampa avrebbe potuto permettersi, una volta tanto, il lusso di rispettare.



E la stanchezza è come sempre cattiva consigliera, perché incoraggia al cinismo, sul tipo della  battuta  ancor oggi ripetuta a proposito dei nostri Borboni:  che si dice non dimenticassero nulla, ma d’altra parte non avessero imparato nemmeno nulla. Battuta che in realtà si sarebbe tentati di ripetere, vista l’impressione generale di monotonia  che i due quasi-presidenti hanno dato in queste ultime settimane:  Biden che batteva e ribatteva sulle cifre dei contagi, Trump che martellava con i numeri economico-industriali; tanto che a questo punto ci si sente un po’ sollevati, all’idea che i comizi si siano conclusi.



Ma appunto, il cinismo non è mai d’aiuto, perché offusca il nostro senso della varietà della politica e della vita; la politica come vitalità sempre sospesa fra la tragedia e la commedia. Cioè, diciamolo francamente, ci siamo anche divertiti: Biden che ogni volta si avvicinava al podio con una corsettina, intesa ovviamente a dimostrare che lui è ancora in forma, ma che finiva con l’essere un’imitazione un po’ patetica della corsette, quelle sì atletiche, con le quali Obama una volta balzava sulle scalette degli aerei; Trump inguaribile con le sue iperboli (“fenomenale”, “eccezionale”, “mai, nella storia degli Stati Uniti”); e così via.



Eppure, sotto la superficie di questo folklore si muovevano pensieri strategici che possono darci un’idea di quello che aspetta la società americana dopo le elezioni.  La mossa più seria (in effetti, grave) è stata la quasi totale sparizione, da entrambe le retoriche in conflitto, del discorso sulla condizione dei neri (discorso che è stato delegato, con una mossa che sapeva di degnazione, a Obama durante il suo assist al candidato democratico).

E, a proposito di sparizioni, dagli ultimi discorsi di Trump era scomparso il mantra “Law and Order”, che era stato invece sostituito dal costante richiamo alla Costituzione e alle sue origini. Quando poi Trump martellava sul “socialismo” attribuito al suo avversario veniva da sorridere,  guardando dalla sponda europea dove si è ben consapevoli della complessità e spessore storici di questo concetto. Ma era una mossa più intelligente di quello che sembrasse (nulla di quello che Trump ha fatto da quattro anni a questa parte è privo di intelligenza, checché ne pensino tanti sapientoni nostrani): questo -ismo intellettualoide riusciva a minare i termini più edificanti (“coscienza sociale”, “solidarietà sociale”, ecc.) sui quali i Democratici invece insistevano.

Ed è sparito anche, dopo un paio di rapide comparse, il riferimento alla neo-giudice della Corte suprema, Amy Coney Barrett; appena Trump ha sentito che gli applausi (che di solito scrosciavano a praticamente ogni sua frase) erano in questo caso pochini e freddini, ha riaggiustato il tiro, rendendosi conto che questo nome evocava il piano dell’alta politica, e perdeva il contatto con la concretezza popolare.

Si è parlato e si parlerà della profonda divisione nella società americana. Ciò è innegabile; ma quello che è altrettanto preoccupante è una certa mancanza di connessioni all’interno dei due campi, e valga un solo esempio. Nelle conversazioni con i miei ex-colleghi ed ex-studenti americani avverto tristezza di fronte a quella che si delinea come una forma di nichilismo nel campo delle scienze umane: il rifiuto sempre più diffuso dei valori letterari, del senso dei contesti storici, e di tutte quelle sfumature che sono essenziali perché abbiano luogo esperienze etiche. Sembra diffondersi l’anti-etica dei cancellatori e dei picconatori; e di fronte a ciò tutti i miei interlocutori sono angustiati.

Ma nessuno di loro (almeno, nessuno di coloro con cui ho conversato finora) sembra rendersi conto che questo è  essenzialmente il frutto del tipo di educazione al pensiero  unico “progressista” che è diventato virtualmente un dogma negli ambienti universitari più avanzati: chiamiamolo il nichilismo della Ivy League. È in gioco il futuro culturale degli Stati Uniti, e il problema resta aperto.

Di fronte a queste alchimie intellettuali, la frase che sto per citare sembra essere enormemente ingenua, e forse lo è. L’ho letta in une di quelle “chat” fatte di una sola frase – frasi talvolta divertenti, ma il più delle volte brutalmente banali. Questa invece diceva: “Trump, se Dio desidera che tu occupi ancora la Casa Bianca, ti ci metterà”. Non è una frase profonda; ma è un pensiero calmo e sereno che va al di là dell’assalto immediato alle nostre sensazioni. Alle volte bisogna distaccarsi un momento, dalla tragicommedia della politica.