Donald Trump è inseguito da un’escalation di inchieste giudiziarie: prima per presunti reati finanziari a New York (qui per iniziativa di una Procura storicamente “democrat”), poi la presunta illegalità del possesso di documenti riservati di Stato nella sua residenza privata in Florida (indagine Fbi, cioè del Dipartimento della Giustizia); ora per l’accusa – federale e politicamente gravissima – di partecipazione all’assalto al Campidoglio l’Epifania del 2021, subito dopo la sconfitta alle presidenziali del 2020. Ma anche il vincitore di allora – Joe Biden – si sta avvicinando a un probabile nuovo duello con Trump per la Casa Bianca con più di un “mal di testa” di natura giudiziaria.



Non è il Presidente in carica nel bersaglio diretto dei magistrati, ma il figlio Hunter: da sempre sotto i riflettori dei media per una vita turbolenta (lo stesso Presidente ha riconosciuto solo negli ultimi giorni come nipote legittima l’ultima figlia di Hunter). Ufficialmente i guai giudiziari di Biden Jr riguardano episodi di evasione fiscale: negli Usa, peraltro, un reato socialmente grave, quello che consentì alle autorità di battere Al Capone.



Hunter Biden era sul punto di dichiararsi colpevole nell’ambito di un accordo di patteggiamento presso una corte del Delaware. Ma all’ultimo il figlio del Presidente ha continuato a dirsi “non colpevole” perché il giudice Maryellen Noreika (nominata sotto l’Amministrazione Trump) non ha garantito una completa “pietra tombale” sull’inchiesta: in particolare sul fronte dei contatti con “agenti esteri”.

Il riferimento – abbastanza evidente – è all’attività di uomo di pubbliche relazioni internazionali di Hunter Biden: anzitutto con soggetti ucraini e cinesi. A Kiev, in particolare, Biden Jr ha avuto rapporti d’affari con Burisma, un colosso energetico controllato da Mykola Zlochevsky. Quest’ultimo è stato un classico oligarca ucraino: a lungo ministro vicino al Premier e poi Presidente Viktor Yanukovich. Filorusso, Yanukovich fu cacciato (ed esiliato a Mosca) dalla “rivoluzione arancione” del 2014, che ha costretto a fuggire anche Zlochevsky (che avrebbe oggi cittadinanza cipriota). In quegli anni Biden Sr – vicepresidente di Barack Obama fin dal 2008 –  aveva una delega speciale per gli affari ucraini. È chiara la criticità del “caso Biden Jr” per il Presidente che ha già preannunciato la sua ricandidatura durante la guerra scoppiata fra Ucraina e Russia e accesa dall’appoggio aperto degli Usa.



È forse la prima volta che gli Stati Uniti ritrovano il destino della loro vita politica nelle mani dei magistrati: al di fuori dei consueti binari della “giustizia politica” americana, quelli degli impeachment parlamentari (da cui Trump è giù uscito indenne per il presunto “Russiagate”).  In una fase in cui l’essenza stessa della democrazia occidentale è in discussione, la “democrazia giudiziaria” statunitense si profila come laboratorio politologico inedito e rilevante. Nel quale si sta già mescolando una seconda questione: la possibilità che gli americani debbano scegliere fra due ex Presidenti ultraottantenni.

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