A due passi dall’Unione europea, tra la Polonia e la Russia, ci sono campi di lavoro dove vengono detenuti non solo i criminali, ma anche i dissidenti. Sono sedici e si trovano in Bielorussia, dove il dittatore Alexander Lukashenko ha pensato ad un sistema sul modello sovietico, un sistema punitivo che inabilita e umilia chi si trova all’interno. Vengono presentati ufficialmente come “campi di lavoro correttivi“, ma di fatto vengono considerati i discendenti dei gulag. Basta chiederlo a Darya Chultsova, giornalista 26enne premiata dalla tv di Stato polacca e nominata “giornalista europeo dell’anno 2021”. Per due anni è stata imprigionata e la maggior parte del tempo l’ha trascorsa in una delle famigerate colonie penali della Bielorussia.
«Non è che i ricordi del campo continuino a tornare, non se ne vanno nemmeno. Il campo è dentro di me», ha raccontato allo Spiegel che l’ha intervistata in Polonia, dove vive attualmente. Darya Chultsova ha deciso di parlare del periodo trascorso nel campo di lavoro bielorusso per accendere i riflettori sul tema. La sua vita è cambiata il 15 novembre 2020, tre mesi dopo la vittoria di Lukashenko alle elezioni presidenziali. Visto che alcune centinaia di cittadini si erano riunite a Minsk, la polizia intervenne con granate stordenti e gas lacrimogeni. La giornalista insieme ad una collega filmò, commentò e trasmise per ore tutto quanto.
“A VOLTE MI SONO SENTITA VIOLENTATA”
Prima di allora Darya Chultsova era stata arrestata quattro volte, ma la quinta è stata diversa: fu portata via e condotta in una stazione di polizia. Non pensava che sarebbe stata destinata ad uno dei campi di lavoro correttivi voluti da Alexander Lukashenko. Prima è finita con la sua collega in una cella di detenzione sovraffollata, fredda e buia, dove è rimasta per mesi in attesa della sentenza. Quindi, la condanna a due anni di campo di lavoro. «A volte mi sono sentita come se fossi stata violentata», ha confessato Chultsova allo Spiegel a proposito della sua esperienza nei campi di lavoro. Sorte peggiore è toccata ad un collega, Andrej Potschobut, membro della minoranza polacca in Bielorussia, che a febbraio è stato condannato a 8 anni di carcere per “attività terroristica” e “incitamento all’odio”. In realtà aveva scritto un articolo sul regime in modo critico.
Il sistema dei campi di Lukashenko è strettamente legato all’economia della Bielorussia: di solito una fabbrica si trova proprio accanto all’istituto. I prigionieri lavorano anche nell’industria chimica o segano tavole e doghe per i mobili. Anche i produttori occidentali, subappaltatori di grandi catene, sono stati accusati da organizzazioni non governative come “Earthsight” di avere legami con il sistema dei campi bielorussi. Rilasciata il 3 settembre 2022 dopo 421 giorni nel campo e sette mesi di detenzione, Darya Chultsova non ha firmato l’accordo di non divulgazione che solitamente viene sottoscritto dai detenuti. Forse il regime vuole che parli, perché i cittadini sappiano a cosa vanno incontro se si ribellano?