Da agosto la Bielorussia fa arrivare, talvolta contribuendovi direttamente, qualche migliaio di migranti, in specie afghani e iracheni, alle frontiere con la Polonia, la Lituania e la Lettonia, incoraggiandoli ad attraversarle. Si tratta senza alcun dubbio di una chiara strumentalizzazione dei migranti per finalità politiche da parte di Paesi terzi all’Ue, come recita quasi testualmente il punto 18 delle conclusioni del Consiglio europeo del 21-22 ottobre 2021, che ha condannato gli “attacchi ibridi” orchestrati dalla Bielorussia alle frontiere esterne dell’Unione, dichiarando l’intenzione di rispondere.



La situazione è ormai precipitata. Oltre alla prima decina di morti per il freddo, alcune centinaia di migranti sono rimasti intrappolati alla frontiera bielorussa: non possono superarla, perché respinti dall’imponente assetto militare polacco, con l’uso anche di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, né possono tornare da dove sono venuti, perché sospinti con la forza a nord, verso la frontiera con la Lituania, che passa sul fiume Niemen, che dev’essere guadato. Inoltre, secondo alcuni filmati diffusi dal governo polacco, la cui veridicità è peraltro vivamente contestata, militari bielorussi avrebbero danneggiato in alcuni punti la barriera di matasse di filo spinato che in tutta fretta Varsavia ha posato lungo il confine terrestre con la Bielorussia e che intende completare a tempo record, pur senza beneficiare di finanziamenti europei.



Si imporrebbero urgenti misure di ordine umanitario. Invece no. Da una parte il Consiglio Affari esteri europeo, nella riunione del 15 novembre scorso, si è limitato ad adottare un quinto pacchetto di sanzioni economico-commerciali nei confronti della Bielorussia, sanzioni di scarso effetto sul presidente Aleksandr G. Lukashenko e che, anzi, hanno paradossalmente comportato un incremento della pressione migratoria alle frontiere esterne dell’Ue; dall’altra la Commissione europea – che lamenta il fatto che la Polonia, a differenza della Lituania, non abbia né accettato l’aiuto di Frontex né consentito la presenza di giornalisti e di personale di organizzazioni umanitarie non governative – sta verificando con le Nazioni Unite e i suoi istituti specializzati come assicurare il ritorno dei migranti nei loro Paesi di origine, con il supporto delle rispettive autorità nazionali. L’operazione richiede tempo, che invece si sta inesorabilmente esaurendo.



Infine si è appreso che la controversia, suscettibile di provocare anche incidenti dalle conseguenze imprevedibili, potrebbe coinvolgere la Nato. Infatti, il primo ministro polacco Morawiecki, intervistato domenica scorsa dalla Polska Agencja Prasowa, ha affermato che il suo governo sta valutando con quelli di Vilnius e di Riga l’opportunità di attivare l’art. 4 del trattato Nato. Secondo questa disposizione, “Le Parti si consulteranno ogni volta che, a giudizio di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle Parti sia minacciata”.

Analogamente, il Consiglio di difesa nazionale della Lituania (il loro Consiglio supremo di difesa) ha ritenuto soddisfatti i criteri per chiedere l’attivazione dell’art. 4, mentre, per il momento, è più defilata la posizione espressa dal presidente lituano Gitanas Nausėda. Al fianco del governo di Varsavia si è schierato il Segretario di Stato americano Anthony Blinken, il quale nello scorso fine settimana ha affermato che le azioni della Bielorussia minacciano la sicurezza regionale e sono finalizzate a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale dai movimenti delle truppe russe al confine con l’Ucraina. Il presidente russo Putin, ovviamente, ha smentito qualsiasi collegamento e, per dimostrare l’impegno a risolvere la crisi al confine polacco e a quello lituano, si è detto disponibile a mediare con Lukashenko, come richiestogli da Angela Merkel.

Le condizioni per l’applicazione dell’art. 4 Nato non sembrano soddisfatte in questo caso. Dai lavori preparatori, in particolare dalle conversazioni preliminari del 1° aprile 1948 tra i diplomatici di Usa, Canada e Regno Unito, nonché dalla redazione originaria si evince che la norma avrebbe potuto essere utilizzata non solo in presenza di un attacco armato ma pure in caso di aggressione indiretta; quest’ultimo riferimento, tuttavia, fu presto eliminato per evitare il rischio di interferenze negli affari interni.

Un’interpretazione più ampia dell’art. 4 si potrebbe forse ricavare dal concetto strategico della Nato, come rivisto nel 1999, che estende le ipotesi di consultazione anche alle migrazioni di massa, ma pur sempre in una logica di aggressione indiretta; ipotesi che, al di là di affermazioni dal sapore propagandistico, ancora non sussiste, salvo ritenere che il governo di Minsk stia utilizzando i migranti come arma (in senso tecnico e non politico) per destabilizzare la Polonia e la stessa Unione. Il che appare, allo stato, alquanto esagerato.

Vale la pena di ricordare che, nei primi cinquant’anni di vigore del trattato Nato, l’art. 4 è restato lettera morta. Dall’inizio del nuovo millennio ha conosciuto solo sei casi di applicazione, L’attivazione su richiesta della Polonia risale al 3 marzo 2014, dopo le tensioni al confine con l’Ucraina successive all’intervento militare russo: allora la Nato sospese ogni forma di cooperazione militare e civile con Mosca. Non sempre, tuttavia, le richieste di attivazione hanno avuto un seguito positivo. Così fu, ad esempio, nel marzo 2014, per la richiesta di Lettonia, Lituania e Polonia in relazione alla crisi della Crimea.

Della crisi in corso il Consiglio Nato potrebbe occuparsi nella ministeriale fissata ai primi di dicembre. Sempre che la panoplia di misure a largo spettro messe in campo dall’Unione Europea non raggiunga l’obiettivo. L’Unione infatti ha minacciato di sospendere gli aiuti finanziari indispensabili all’Iraq e al Libano se non fermeranno, rispettivamente, i voli diretti da Baghdad e da Beirut a Minsk; ha applicato sanzioni alle compagnie aeree irlandesi, se non cessano di offrire in leasing velivoli alla compagnia bielorussa Belavia, fino a preannunciare il divieto di accesso allo spazio aereo europeo per tutte queste compagnie, cui potrebbero aggiungersi, se necessario, l’Aeroflot e la Turkish Airlines.