Rivalità strategica e uso politico della pressione migratoria. Sono questi, in sintesi, i fattori della crisi che contrappone la Bielorussia alla Polonia e all’Unione Europea.

L’alleanza di ferro tra Polonia e Stati Uniti colloca lo scontro nel quadro della rivalità tra Washington e Mosca, mentre i flussi migratori sono un’arma asimmetrica ampiamente utilizzata dal Mediterraneo alla rotta balcanica. Sotto il profilo politico i rischi maggiori li corre certamente l’Europa. “L’Unione mostra la sua enorme vulnerabilità” dice al Sussidiario Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore della rivista di geopolitica e commercio estero GeoTrade. Una debolezza che espone l’Ue al rischio della sua implosione politica.



Lukashenko ha minacciato lo stop del gas russo verso l’Ue se l’Ue estenderà le sanzioni. Partiamo dal gas.

Attraverso la Belorussia transita il gasdotto Yamal-Europa, che porta 33 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia alla Polonia e Germania. Credo che Lukashenko si riferisca a questo. Ma questo gasdotto è però posseduto e controllato dalla russa Gazprom, per cui la questione non riguarda solo Minsk.



Vuol dire che la sua è un’arma spuntata?

Parliamo di qualcosa di grosso che non credo Lukashenko possa mettere in atto.

Che ruolo hanno invece le sanzioni dell’Ue?

Le sanzioni sono centrali in questa partita, perché tanto la crisi migratoria al confine con la Polonia quanto la minaccia di interrompere le forniture di gas sono legate all’ormai deteriorata crisi tra Bruxelles e Minsk sulle elezioni e la democrazia dopo le elezioni dell’agosto 2020, quando Bruxelles ha varato diversi pacchetti di sanzioni. La situazione si è ulteriormente deteriorata dopo l’atterraggio forzato a Minsk del volo europeo Ryanair per arrestare un dissidente.



A quel punto?

L’Europa ha risposto con sanzioni molto dure, sigillando lo spazio aereo bielorusso e colpendo alcuni settori importanti dell’economia del Paese. E siccome le sanzioni sono uno strumento asimmetrico, che cioè l’Ue può usare contro la Belorussia ma la Belorussia no, Minsk risponde con un altro strumento asimmetrico, ossia canalizzando verso la Polonia i rifugiati mediorientali che vogliono venire in Europa e che, tra l’altro, l’Europa dice di volere accogliere.

La sua valutazione?

È un normale rapporto di forza tra due attori intrappolati in un conflitto politico in cui ognuno sfrutta le vulnerabilità dell’altro. Ma ci sono anche dei paradossi.

Quali?

Almeno due. Il primo: la Commissione europea e la stessa Germania sono costretti a compattarsi con il governo polacco, dal quale sono divisi da numerosi conflitti, incluso quello per la costruzione di un muro anti-migranti. In qualche modo anche la Polonia è sotto minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles.

Il secondo?

In questo caso l’Europa sostiene attivamente le politiche di respingimento alla frontiere orientali, cosa che non ha mai fatto per i flussi provenienti dal fianco sud dell’Europa.

Quali possibili risposte può esercitare l’Ue per difendersi dalla contromossa ibrida di Lukashenko?

Ovviamente qui parliamo di flussi migratori costruiti a tavolino ed inseriti all’interno di una crisi politica preesistente. Per cui l’Ue dovrà reagire in maniera vigorosa. Ma in questo modo rischia di distruggere il suo approccio al fenomeno migratorio. Di fatto, schierarsi con la Polonia contro la Bielorussia su questo braccio di ferro vuol dire rompere il principio dell’automatismo della necessità/obbligo dell’accoglienza umanitaria rispetto alle condizioni di sicurezza.

Con quali conseguenze politiche?

Quella di un’enorme vulnerabilità strategica per l’Europa, sfruttata tanto dai migranti, dai trafficanti che dagli Stati ostili. È un punto che ogni autocrate può sfruttare a suo vantaggio, che sia Gheddafi, Erdogan, Assad o Lukashenko. L’Ue deve accettare che nelle relazioni internazionali di oggi la sicurezza umana è tanto importante quanto la sicurezza degli Stati.

Qual è l’obiettivo politico che la Bielorussia cerca di ottenere mediante l’utilizzo della pressione migratoria sul confine polacco?

Verosimilmente è un gioco svolto in parte per conto di Mosca, come tassello di più ampie strategie di confronto, in parte è una risposta all’ingerenza dell’Ue e degli Usa negli affari interni di Mosca e Minsk. Vorrei comunque far notare la sottigliezza della reazione bielorussa alle sanzioni europee che mi pare nessuno abbia sottolineato.

In che cosa consiste?

Nell’uso di un ponte aereo per portare i migranti in Europa, come risposta alle sanzioni aeronautiche adottate in giugno contro la Bielorussia. Per le quali non solo nessun aereo bielorusso può entrare nello spazio europeo, ma neanche nessun aereo europeo può attraversare lo spazio bielorusso. Verosimilmente le nuove sanzioni europee colpiranno quelle compagnie aeree che portano i migranti dal Medio oriente alla Bielorussia.

L’altro ieri von der Leyen ha detto: “estenderemo le nostre sanzioni contro la Bielorussia all’inizio della prossima settimana e gli Usa prepareranno sanzioni che saranno in vigore da inizio dicembre”. Ci aiuti a capire. Il gioco continua?

Nuove sanzioni da parte americana sarebbero un’ulteriore conferma che non si tratta solo di un gioco Europa-Bielorussia, ma che tale gioco è inserito in quello Usa-Russia. Ricordiamoci che la Polonia, mal sopportata in Europa, è un alleato di ferro americano. Comunque, una volta che la partita delle azioni-reazioni ostili è aperta, ognuna delle parti è chiamata a valutare e reagire.

In concreto?

Sarà importante pesare le sanzioni applicate per capire le reali intenzioni, soprattutto quali sono gli attori che vogliono ampliare il conflitto e quali quelli che vogliono ridurlo o tenerlo separato da altri dossier.

Giovedì sera Bloomberg ha diffuso una notizia preoccupante: gli Usa hanno avvertito gli alleati europei che Mosca potrebbe preparare un’invasione dell’Ucraina. Collegato forse a questo, in pochi si sono accorti che il 2 novembre il ministro della Difesa di Kiev si è dimesso. Cosa sta succedendo?

L’ho letta, ma mi sembra onestamente una cosa sproporzionata. Non vi sono nel pezzo elementi che possano far ritenere concreto tale rischio, che in linea teorica è ovviamente possibile. Si parla genericamente di un ammassamento di truppe al confine. Davvero però mi stupirebbe un’operazione militare offensiva in questo momento non utile a Mosca.

Come fa a dirlo?

Mosca ha già ottenuto dal conflitto ucraino quello che le serve. Penso che alla Russia basti che l’occidente non tenti di ribaltare lo status quo. Cosa che non mi pare stia accedendo.

Però la situazione è molto, molto sfilacciata.

Vero. Oltretutto la mia convinzione è che gli scenari libico, siriano, bosniaco e ucraino siano ormai collegati e percorsi dal filo rosso della rivalità-competizione turco-russa, e il rischio che qualcosa che mi sfugge in uno di questi scenari possa produrre reazioni in un altro teatro connesso, è reale. Ma ripeto, tendo ad escluderlo.

È sorpreso dell’utilizzo politico dei migranti?

Assolutamente no, è sempre stato così. Spingerli verso un altro Paese, respingerli o accoglierli sono tutti atti politici, con profonde connessioni e conseguenze nella politica estera ed in quella di sicurezza. Anche se qui pare che Lukashenko sia andato un bel po’ oltre e questo è pericoloso. Da un certo punto di vista Lukashenko sta creando un corridoio umanitario come fanno le Ong. Ovviamente non lo fa per aiutare i migranti, ma per speculare strategicamente sulle ipocrisie dell’Europa, che ora è costretta a porsi il dubbio se non sia meglio tenere i confini chiusi. 

Intanto in Olanda il premier greco Mitsotakis è stato accusato di violazione dei diritti umani a motivo dei respingimenti nel Mar Egeo. Il paradosso è che anche Ankara accusa la Grecia e le Ong sono schierate con Erdogan. Mentre il premier polacco Morawiecki ha affermato che Ankara agisce in “piena sincronia con Bielorussia e Russia”. Che ne pensa?

Un caos nel caos in cui si rischia di perdere uniformità dell’azione politica esterna dell’Europa. È evidente che crisi migratorie multiple e politicizzate sono una delle maggiori vulnerabilità dell’Unione, che potrebbe addirittura implodere politicamente nel caso di una cattiva gestione di questi problemi. 

Perché la Polonia è il perno di questa nuova crisi europea?

Perché la Polonia è uno Stato di frontiera, sotto pressione tanto da Bruxelles quanto da Mosca e sta progressivamente diventando un tassello geopolitico americano e britannico in questa duplice area di crisi. E perché la Polonia ha una lunga storia di ingerenze esterne e di minacce alla propria integrità territoriale ed è portata a reagire in maniera molto assertiva e muscolare.

Ne frattempo, alla frontiera meridionale dell’Ue, Francia e Italia legano le proprie sorti industriali e politiche in un trattato (detto “del Quirinale”) sul quale non si sa nulla. Draghi e Macron si sono visti ieri a Parigi nella conferenza sulla Libia. Qual è la sua opinione in proposito?

Il trattato del Quirinale al momento è coperto da un ampio riserbo ed è abbastanza difficile capire cosa sta accadendo. Ma dovrà prima o poi arrivare in parlamento e li vedremo quale tipo di accordi sono stati presi. La Francia pare aver in parte ammorbidito le sue posizioni verso l’Italia, non sappiamo se perché ha ottenuto tutto quanto chiedeva, o per un cambio di strategia, o perché l’avvento di Draghi ci ha reso più forti rispetto alle debolezze del governo Conte. In questo contesto è difficile anche interpretare la visita del presidente Mattarella in Algeria, un Paese ai ferri corti con la Francia. Un segnale di raffreddamento verso Parigi o un aiuto a ricucire i rapporti di Parigi?

Questo per quanto riguarda noi. E sulla Libia?

La conferenza di Parigi sulla Libia credo che non produrrà granché, ma è l’ultima spiaggia per il partito pro-elezioni per spingere gli attori locali al voto a dicembre. Vedremo nei prossimi giorni cosa produrrà.

Se non sbaglio lei non era fiducioso.

No, infatti. Un anno fa dissi che non si sarebbe votato a dicembre e a sei settimane dal voto continuo ad avere forti dubbi. Ad ogni modo, anche se si voterà non sappiamo quali sono i poteri che differenziano le varie istituzioni del Paese, per cui le due fazioni continueranno a litigare anche con nuovi politici eletti.

Una conferenza inutile?

Come tutte le conferenze internazionali non è mai risolutiva, ma è sempre un momento diplomatico importate dove i leder si confrontano e si riconciliano prima di riprendere le proprie competizioni per il potere. Credo comunque che a Parigi si sia parlato molto anche di Ucraina, Bielorussia e Bosnia-Erzegovina.

(Federico Ferraù) 

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