Recentemente, nei webinar promossi dalla Fondazione per la Sussidiarietà, è stato affrontato un tema complesso e attuale: il rapporto tra le grandi corporations e gli Stati. Le recenti elezioni americane sono un esempio evidente di come, nelle democrazie occidentali, gli Stati spesso agiscano in funzione delle grandi aziende, mentre in Paesi come Cina e Russia il rapporto è invertito e le grandi aziende risultano funzionali agli interessi statali. Non è nostro compito giudicare quale sistema sia più legittimo; tuttavia, possiamo cercare di fare chiarezza.
Questo rapporto tra potere economico e politico non è una novità nella storia: pensiamo, per esempio, alla Compagnia delle Indie Orientali. Fondata nel 1600, questa potente società commerciale godeva del sostegno e dell’approvazione della corona inglese, ma operava in un contesto politico molto diverso dall’attuale. La politica dell’epoca, basata su monarchie ereditarie e assolutistiche, manteneva un certo controllo sulle compagnie commerciali, senza permettere ai banchieri o agli imprenditori di dominare completamente la scena politica.
La Compagnia delle Indie Orientali prosperò per oltre due secoli, fino a diventare uno dei soggetti economici più influenti dell’epoca. Tuttavia, il suo destino fu segnato da numerosi fattori, tra cui l’eccessiva espansione territoriale e i costi delle continue guerre. La società si ritrovò a gestire territori vastissimi in India e ad assumere compiti quasi governativi, incluse la riscossione delle tasse e la difesa militare. Questo ruolo quasi statale portò a una crescente insoddisfazione tra la popolazione locale, oltre che a continui scontri con altri imperi coloniali. A ciò si aggiunse una cattiva gestione finanziaria e alla fine il Governo britannico intervenne direttamente per assumere il controllo delle sue funzioni, nazionalizzando de facto le sue attività e decretando la fine della Compagnia.
Il fallimento della Compagnia delle Indie è dunque un esempio di come anche le entità economiche più potenti possano crollare sotto il peso delle proprie ambizioni quando perdono il legame con il bene comune e si spingono oltre le loro capacità. Oggi, invece, assistiamo a una situazione diversa. La politica sembra essere sempre più influenzata da chi sostiene economicamente le istituzioni e rende possibile la loro stessa esistenza.
Sorge spontanea la domanda: è giusto che il destino dei popoli venga deciso da persone non elette, che non si candidano, ma che, grazie alla loro influenza economica, guidano indirettamente la nazione? Sappiamo da sempre che il denaro non è potere in senso assoluto, ma può facilmente piegare il potere politico. Mi sembra evidente che le ultime elezioni democratiche svolte in nazioni occidentali siano caratterizzate da un desiderio di chi va a votare di opporsi a sistemi percepiti come imposti dall’alto. È un voto che grida: “Non ci faremo piegare da media e ideologie dominanti che peggiorano le nostre vite”.
Forse questa percezione non riflette la realtà, ma la fiducia nei media e nei governanti è ai minimi storici e il naturale impulso umano a volere maggiore autonomia alimenta una protesta contro le élite. La sfiducia nelle istituzioni è diffusa, ma per superarla occorre una virtù che non dipende dai governanti, bensì dai cittadini: l’umiltà.
Di recente, in ospedale, ho assistito a un curioso dibattito tra un paziente e un medico su come eseguire una manovra specifica. Il paziente, pur senza competenze mediche, mostrava sicurezza nelle proprie opinioni, proprio come chi, avendo esperienze limitate, ritiene di sapere come dovrebbero funzionare ambiti complessi. Ricordo sempre l’esempio di mio nonno che, prima di votare, chiedeva con umiltà consiglio a mio padre, fidandosi del suo giudizio su temi che non conosceva a fondo. Non si trattava di disinteresse, ma di una saggia consapevolezza: sapere a chi affidarsi.
A questo proposito, la recente proposta di una parte della dirigenza Nato di portare la spesa militare al 3% del Pil è emblematica. Si tratta di una manovra teatrale, poiché un aumento simile risulterebbe insostenibile per la maggior parte delle nazioni. L’opera “Ascesa e declino delle grandi potenze” di Paul Kennedy descrive bene come le potenze che esagerano con la spesa militare finiscano per logorarsi. Ma durante le campagne elettorali si evitano queste questioni, perché mancano umiltà e disponibilità all’ascolto.
In sintesi, il rapporto tra corporations e Stati, oggi come ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali, è una questione delicata. Tuttavia, mentre allora la politica assolutistica manteneva un certo controllo, oggi il potere economico sembra spesso condizionare le decisioni pubbliche. Esistono, però, esempi di leader che hanno saputo preservare l’interesse pubblico, mettendo limiti chiari alle pressioni economiche, unendo umiltà e determinazione nel perseguire il bene comune. Pensiamo, per esempio, a Franklin D. Roosevelt, Presidente degli Stati Uniti durante la Grande Depressione. Nonostante l’enorme influenza di grandi gruppi industriali e finanziari, Roosevelt promosse una serie di riforme, note come il New Deal, che limitarono il potere delle corporations e rafforzarono il ruolo dello Stato nell’economia. I suoi interventi miravano a sostenere le famiglie e le imprese più colpite, dimostrando che la politica può agire con indipendenza e responsabilità, anche di fronte a forti interessi privati.
Un altro esempio è Alcide De Gasperi, che, alla fine della Seconda guerra mondiale, ebbe il coraggio di rappresentare l’Italia sconfitta davanti ai vincitori. Con un atteggiamento di profonda umiltà ma anche di risolutezza, De Gasperi riuscì a parlare per il suo Paese nonostante la condizione di debolezza in cui si trovava, ottenendo rispetto e aiuti fondamentali per la ricostruzione dell’Italia. Con grande dignità, evitò toni trionfalistici e si assunse pienamente le responsabilità del passato, guadagnandosi così la fiducia delle potenze internazionali. Il suo esempio mostra come umiltà e risolutezza possano coesistere: qualità indispensabili per un leader che mette l’interesse del proprio Paese davanti a qualsiasi ambizione personale. Oggi più che mai, questo spirito di umiltà e servizio pubblico è essenziale.
Riflettere sul significato e sull’impatto del potere economico e cercare soluzioni che mettano al centro l’interesse pubblico sono sfide che i politici moderni non possono ignorare. Solo così si potrà costruire un rapporto tra Stati e corporations che risponda veramente al bene comune e ristabilisca la fiducia tra cittadini e istituzioni.
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