Propongo di considerare questa domanda: “Le macchine sono in grado di pensare?” (Alan Turing)

Innanzitutto una premessa. Qui il compito non è contenere o proporre azioni che spettano al governo, né soluzioni di protezione o altro riguardante il lavoro dei medici, già in trincea con sacrificio e competenza. Qui tentiamo, tramite l’analisi di dati, di dare visione a scenari utili alla crisi, utilizzando la matematica, l’informatica e la fisica.



Nella diffusione di quest’epidemia i dati, come sempre, hanno un ruolo fondamentale e vanno interpretati e sviluppati. Soprattutto vige una regola: non vanno mai presi singolarmente.

Cercheremo di banalizzare discorsi molto complessi, partendo da uno scenario molto complicato, ma assai simile a quello cinese (a patto che fosse coerente, ma dobbiamo fidarci, perché abbiamo solo questo termine di paragone).



Peste e colera, ad esempio, furono mappate tramite modelli matematici SIR (suscettibili, infetti, rimossi), ovvero di tipo differenziale, per poter spiegare la rapida crescita e la successiva decrescita del numero degli infetti. I modelli SI e SIS (suscettibili, infetti, suscettibili) sono i più semplici e nel nostro caso, avendo solo due categorie (suscettibili e infetti), li scartiamo.

Il modello SIR differenziale è applicabile all’epidemia in corso? Lo è, ma le variabili per “eludere la formazione dei focolai” sono molteplici e rischiano di far sballare il modello, che tenderà ad avere curve d’approssimazione notevoli, soprattutto in vista di quella soglia rossa che non dobbiamo superare (quel Piave di cui abbiamo già scritto). In questo caso i cinesi hanno “creato” il picco da 14.000 casi per “aggiornare” i Big data, oppure proprio per cambiar sistema di calcolo.



Big Data e IA?

In realtà, il nostro lavoro sui dati cinesi ci aveva portato numeri simili a quelli di oggi (vissuti in Cina un mese fa) partendo appunto da proporzioni sui modelli di diffusione cinesi.

Ma va fatta una premessa: la Cina ha utilizzato i Big data, di fatto mappando ogni contagiato a ritroso tramite il cellulare (tecnologia 5G?) e ricostruendo tramite Intelligenza artificiale (IA) i movimenti “probabili” del resto della popolazione (nel frattempo bloccata nelle zone calde) per neutralizzare i cluster (focolai) con il contenimento d’anticipo.

La nostra teoria: l’ipermovimento in rapporto alla densità di popolazione

Sembra fantascienza, ma non lo è. Nei modelli standard differenziali il movimento delle persone era stimato “collettivamente” a livello deterministico (per farvi capire, schematico su modelli precedenti); nel caso del modello Big data azzardiamo invece un sistema caotico (attenzione: non significa confuso), ovvero basato sull’individualità della variabile. Le variabili sono gli individui che si muovono in un certo modo, s’infettano e si ammalano, poi guariscono o muoiono, ma non a gruppo, bensì come singoli.

Seguendo tutto il percorso a ritroso, si possono avere dei modelli molto precisi da far elaborare all’IA applicata al movimento e di fatto “prevedere” i cluster. Quindi, con questo tipo di modello possiamo tenere solo relativamente in conto la curva di contagi, e intervenire prima che il focolaio esploda del tutto, di fatto come la Cina ha fatto su tutto il territorio nazionale, dove ha limitato i contagi.

Il modello può funzionare, ma a patto che si riescano a tracciare i movimenti a ritroso dei contagiati tramite cellulare, ricostruendo le catene di trasmissione che sono iperveloci rispetto, ad esempio, a un modello di diffusione applicato cent’anni addietro. Le persone oggi toccano punti di movimento più estremi e numerosi, quindi diventano metaforicamente biglie su un tavolo con i bordi, sul quale si muovono caoticamente, influenzandosi a ogni scontro tra loro.

Poniamo d’avere tre scontri A-B-C. Le due biglie si scontrano in A, influiscono sulle tre in B, oltre alle cinque in C, creando una serie di variabili mastodontica e caotica, quindi non “a gruppi di biglie”, bensì ogni biglia diventa variabile tra variabili, il tutto all’interno di un sistema che dal punto P tornerà a condizione simmetrica iniziale, ovvero P. In pratica, punto di partenza e d’arrivo coincidono. Noi analizziamo la parte centrale, la creazione di movimento (e quindi la diffusione dell’infezione).

La densità di popolazione in rapporto ai movimenti di persone è simile (in proporzione) tra Wuhan e Milano, due zone produttive, densamente popolate, con lavoratori da tutto il paese (ipermovimento). I Big data servono quindi per mappare i singoli movimenti, l’IA per ricostruirli.

Attualmente si potrebbe (e se già in corso, sarebbe interessante saperlo) provare con il tracciamento a ritroso di tutti i contagiati. Di fatto, con questo sistema, si potrebbero trovare i contagiati nascosti (tramite i modelli ricostruiti artificialmente) e stimare un numero più ampio, che però porterebbe all’inversamente proporzionale, soprattutto nella mortalità, probabilmente facendo schizzare all’insù anche i guariti e dandoci un numero alto come contagi, ma assai rassicurante come evoluzione.

Questi modelli andrebbero a ricalcare i ragionamenti della virologa Ilaria Capua, che suggeriva appunto di far presente che i casi fossero più elevati, di fatto “riproporzionando la mortalità”, che con i numeri forniti dalla Protezione civile oggi ha una percentuale notevole.

Letalità e mortalità: la matematica aiuta a capire

Il tasso di letalità si ottiene dividendo il numero delle persone decedute a causa della malattia con il totale dei malati. Un dato oscillante, che dipende dai parametri utilizzati: la letalità ora ci appare evidente in confronto agli altri paesi europei (che hanno classificazioni più larghe). Il tasso di mortalità, invece, si ottiene dividendo il numero delle persone decedute per la malattia con quello del totale degli esposti (cioè l’intera popolazione interessata).

Quindi è ovvio che il tasso di letalità sia una percentuale più consistente rispetto a quella del tasso di mortalità, che riporta un dato più rilevante, in realtà, per la valutazione dei rischi che comporta un’epidemia per tutta la popolazione, quindi da non sottovalutare.

Alan Turing si chiedeva se le macchine fossero in grado di pensare. In realtà, per ora, è molto utile che riescano a “copiare” e sviluppare movimenti che partono dall’originale, evitando di farci guardare uno scenario da miopi utilizzando lenti da presbiti.

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