La ricerca in Europa è ostaggio di Big Pharma, che usa i soldi pubblici solo per fare profitti: questa è l’accusa mossa da L’Espresso in un lungo e dettagliato articolo che parla dell’Imi, l’Istituto delle medicine innovative, partnership creata 12 anni fa dalla Commissione europea con la grande lobby europea del farmaco. Essa ha lanciato un bando del valore di 45 milioni di euro per lo sviluppo di terapie e diagnostica che possano aiutare nella crisi del Coronavirus, ma a maggio sono arrivate così tante risposte che l’Imi ha finito per incrementare il suo budget a 72 milioni di euro.



Questa sembrerebbe una buona notizia per affrontare la prima grande emergenza sanitaria del Millennio, ma l’Espresso scrive che l’Imi, nata all’indomani della Grande crisi del 2008 per potenziare la ricerca sanitaria europea, ha affrontato l’emergenza epidemica con colpevole ritardo.

Nel 2018 la Commissione europea aveva proposto all’Imi di fare della “preparazione biologica” (investire sulla cura delle nuove epidemie) un importante settore della propria attività, concentrandosi sulle modalità per facilitare sviluppo e approvazione di vaccini contro i patogeni prima che un’epidemia scoppiasse. L’Imi declinò: “Il tema normativo proposto dalla Commissione non è stato sostenuto dalle industrie dell’Efpia (lobby europea delle aziende farmaceutiche, ndR)”.



BIG PHARMA: RICERCA SOLO PER RITORNO ECONOMICO

Insomma, fare ricerca su una possibile pandemia non era una priorità in quel momento e di conseguenza non si volevano effetuare investimenti su un qualcosa che non garantiva un ritorno prima che scoppiasse l’emergenza Coronavirus. L’Imi ha in mano i cordoni della borsa della ricerca farmaceutica europea e così di fatto tutto si bloccò, anche se Big Pharma (un terzo dei 39 membri di Efpia sono le sezioni europee delle multinazionali americane, poi ecco i big europei come Bayer, Sanofi e Novartis) non ci ha messo un euro, scrive l’Espresso.



In 12 anni e due mandati ha versato contributi esclusivamente sotto forma di tempo-lavoro di ricercatori e laboratori, pur essendosi riservata la facoltà di ritenere diritti esclusivi sui risultati delle ricerche. Ora le epidemie sono diventate il fulcro della ricerca medica e su questo business miliardario l’Imi è in prima linea: oltre 120 progetti finanziati con i soldi della Commissione.

L’Espresso, citando fonti esclusive, ricorda però che le risorse versate all’Imi non hanno condizioni, dunque non è chiaro se trattamenti o strumenti diagnostici di successo eventualmente sviluppati saranno mai resi accessibili, logisticamente ed economicamente, a coloro che ne avranno davvero bisogno. Gli autori del rapporto accusano l’Imi anche di non contribuire a rendere le medicine più accessibili ma di rafforzare un sistema che pone l’onere di prezzi sempre più alti sui budget nazionali.

LE ACCUSE A BIG PHARMA PER IL DOMINIO SULL’IMI

Un esempio inquietante è quanto (non) è stato fatto negli ultimi anni per un vaccino per l’ebola. Nonostante il successo delle prove di laboratorio, non sono state portate avanti le procedure per la commercializzazione: il vaccino ci sarebbe ma può essere utilizzato solo con pesanti restrizioni che non consentono l’immunizzazione della popolazione.

Perfino l’uso di fondi pubblici europei – l’Imi per metà è finanziato dalla Commissione europea – non riesce a spezzare la logica di profitto estremo di Big Pharma e intervenire con successo in aree considerate “non redditizie”. Ad esempio Sanofi, azienda farmaceutica francese, avrebbe voluto vendere l’eventuale vaccino contro il coronavirus in maniera prioritaria agli Stati Uniti e solo l’intervento di Emmanuel Macron ha costretto l’amministratore delegato Paul Hudson a fare marcia indietro. Il peso sproporzionato che Big Pharma ha nella partnership con la Commissione la rende poco utile per il pubblico e molto per i dividendi dell’industria farmaceutica.

D’altronde fin dall’inizio Big Pharma ha controllato agenda e priorità dell’iniziativa, è la sintesi dell’Espresso. Fallito dunque è l’obiettivo di aumentare la competitività industriale della farmaceutica europea, con l’Imi sempre più dominato delle aziende più grandi. La ricerca nei settori in cui c’è un urgente bisogno pubblico ma pochi soldi è stata la vittima sacrificale e con una pandemia in corso per la prima volta da decenni in Paesi occidentali ora ne paghiamo anche noi il prezzo.