Se ne parla ormai da un decennio (il primo articolo del Sole 24 Ore a citarlo è addirittura del 2014!) ma con l’avvento della crisi sanitaria da coronavirus e i recenti tentativi dell’OMS di riscrivere le linee guide sanitarie mondiali (con il Trattato pandemico nato sulla scia proprio di quella pandemia) il cosiddetto ‘disease mongering‘ torna ad essere un argomento scottante. Non a caso ne è tornato a parlare il quotidiano La Verità, partendo da un fatto ovvio, ma spesso dimenticato: i concetti di ‘salute’ e ‘malattia’ non sono facilmente etichettabili in modo oggettivo, ma sono frutto di una valutazione fatta dagli esperti mondiali della sanità; questioni che stanno proprio al centro del citato disease mongering.



Prima del 2011 al concetto di salute quegli esperti dell’OMS (che erano ancora poco, per così dire, ‘influenzabili’ da Big Pharma) associavano “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”; mentre oggi si parla di “capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Differentemente (e qui veniamo al succo del disease mongering) la malattia si vorrebbe incanalare in una serie di parametri quantitativi, che misurano singole variazioni e scompensi dell’organismo: così la malattia diventa una fenomeno a sé stante, autonomo, ma non tanto per il benessere del paziente (che non è e non può essere quantitativo), quanto per quello di Big Pharma.



Cos’è il disease mongering e perché Big Pharma lo sfrutta per aumentare le vendite

Ora, se la salute è un concetto labile associato al benessere e la malattia è un’entità autonoma, per misurare quest’ultima basterà impostare dei parametri definiti che fanno scattare l’allarme e la necessità di assumere farmaci: il disease mongering è la ‘tattica’ adottata da chi quei farmaci li vende (Big Pharma) per rendere più ampi i parametri della malattia. Non a caso (ricorda La Verità) quando l’OMS ha deciso di abbassare il valore di riferimento del colesterolo normale, è aumentato del 360% (trecentosessanta) l’uso di statine, farmaci che riducono l’accumulo di grassi nel sangue.



Si potrebbe, dunque, obiettare che con il disease mongering aumenta la platea di malati e, dunque, di futuri sani; non fosse che così facendo persone che sono soggettivamente sane (come chi aveva un colesterolo normale prima del cambio di parametri) diventano oggettivamente malate e, dunque, da trattare e curare. Era d’altronde l’auspicio di Henry Gadens (CEO del colosso di Big Pharma Merk), il cui sogno era “produrre farmaci per le persone sane” ed è (se non altro) sospetto che dietro a quell’OMS sempre più fautore del disease mongering si nascondano circa un 80% di esperti che hanno conflitti d’interesse con le case farmaceutiche.