Due giovani, un ragazzo e una ragazza, entrano in un coffee bar di New York. Fuori piove. Il traffico come sempre a Manhattan si placa, solo per via dell’intasamento. Avete mai ascoltato il suono dei clacson a New York? Gli autisti suonano continuamente, ma quelli di New York sono quasi melodici, è una sorta di musica che non si interrompe mai, come un flusso che si propaga fino all’ora di punta, quando è ora di tornare a casa. Nel bar, i due giovani sono seduti uno di fronte all’altro, una tazza di caffè in mano. I loro sguardi si inrociano, cercano un contatto.
Non è l’inizio di un film anche se potrebbe esserlo. E’ l’immagine che viene in mente ascoltando l’ultimo disco, lo splendido Dragon new warm mountain I believe in you, dei Big Thief.
Cresciuti facendo i busker, suonando sui marciapiedi e nelle stazioni della metro di Brooklyn, ci si chiede come fa un collettivo sgangherato e art folk, che ama così tanto fare musica, a trovare il suo posto nell’era dello streaming e delle canzoni trasformate in merce di consumo.
L’approccio del gruppo, quattro dischi all’attivo a partire dal 2016, ben due in un anno solo, il 2019, in questo nuovo lavoro fa venire in mente i musicisti di The Band durante le registrazioni dei basement tapes a Big Pink, Woodstock, tanti decenni fa: informali, spontanei, onesti, puri, divertenti. I piedi ben fissi nella tradizione, ma guardando all’oggi, grazie al songwriting pieno di sentimento della cantante e leader del gruppo, Adrianne Lenker, autrice di tutti i brani meno uno del nuovo disco, ben coadiuvata dal chitarrista Buck Meek, il batterista James Krivchenia e il bassista Max Oleartchick.
Nei giorni difficili dell’estate 2020, in pieno lockdown, hanno passato cinque mesi registrando in giro per gli Stati Uniti, dal deserto dell’Arizona alle montagne del Colorado, fino a New York e Los Angeles. Poi si sono radunati per due settimane nelle foreste del Vermont e tra i 45 brani composti ne hanno scelti 20 da mettere su disco, come il folk sgangherato di Certainty, che sembra tanto una ballata dylaniana.
O come Simulation Swarm, che Adrianne Lenker dice sia ispirata a una serie di esperienze intense: il ricovero di quattro giorni in ospedale nel maggio 2020, quando, dice, il suo corpo si è piegato dopo sette anni di tour; la separazione da cui è nato il suo album solista; l’infanzia, vissuta in una comunità separatista del Midwest che descrive come «una setta religiosa»; le riflessioni sul fratello biologico Andrew, che non ha mai incontrato ma di cui ha già cantato.
Un disco che si evolve su un percorso fatto di pause e di accelerazioni, che sfocia in pura improvvisazione rock distorta e noise in Little things, caratterizzata da una lunga coda di chitarra elettrica, nel folk stile Appalachi di Spud infinity, dove è presente come ospite, ma anche in altri brani, Mat Davidson dei Twain. In Flower of blood e Blurred View ci si adagia in ambientazioni rarefatte, vagamente elettroniche, oniriche. La voce di Adrianne è tenera e calda, invita a entrare nel suo mondo, fatto di riflessioni zen e memorie del futuro. Come nell’evocativa, solo voce e chitarra arpeggiata, di Promise is a pendulum, dove la cantante e il fantasma di Leonard Cohen si incontrano nei corridoi di un Chelsea Hotel per ballare un valzer “fino alla fine dell’amore”. Perché le promesse non durano mai.
L’ultimo pezzo, intitolato Blue Lightning, è una canzone da serata per le strade di New Orleans, con la chitarra che imita un trombone, da cantare in gruppo, scritta dalla cantante sotto forma di lettera agli altri membri della band, che ora sono la sua famiglia. Un pezzo che parla di gioia collettiva conquistata condividendo esperienze. Nella canzone, Adrianne dice ai suoi compagni che “voglio essere la stringa che allacci”.
“Forse non troveremo mai le risposte, ma il viaggio lo facciamo assieme condividendo le nostre domande” ha detto in una recente intervista. Che altro si può fare di più, in questa vita che ci assale e ci sfianca ogni giorno, se non trovare qualcuno con cui condividere le domande?
E i due giovani di cui dicevamo all’inizio? Non sappiamo che fine abbiano fatto. Però ha smesso di piovere, il coffee bar si è svuotato. La musica serve ad accettarsi, amarsi, perdonarsi e ritrovarsi. E’ il messaggio che ci lascia questo gruppo di hippie fuori tempo.