Parlare di fine vita significa toccare una corda sensibilissima nel cuore e nella mente di ognuno di noi; significa affrontare quel nodo esistenziale oltre il quale non c’è possibilità di ritorno, perché nessuno fa esperienza della propria morte, per la sua intrinseca irreversibilità. Non a caso il fine vita rientra tra i temi eticamente sensibili anche in campo politico, dal momento che qualsiasi decisione in tal senso, tanto più quando assume valore di legge, incide inequivocabilmente sul senso e sul significato che si attribuisce alla vita, con tutta la sua complessità di valori in gioco. Votare sulla vita e sulla morte, qualsiasi sia la problematica che si affronta, non può che essere un voto di coscienza e un voto in coscienza, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Emblematico in tal senso il caso sollevato recentemente dalla decisione di Anna Maria Bigon, consigliera regionale del Veneto che con il suo voto di astensione, in dissenso dal suo partito, il Pd, è stata determinante per la bocciatura della legge regionale voluta fortemente da Zaia sul fine vita. Astenendosi, senza neppure votare contro, ne ha votato consapevolmente l’affossamento definitivo. In sintesi la maggioranza di Centrodestra, che governa la regione da oltre due mandati, da sola non è stata in grado né di sostenere né di bocciare la legge del presidente della regione, mantenendosi su di un’ambigua linea di equilibrio che solo l’astensione della Bigon ha determinato, facendola naufragare.
Vale la pena ricordare che si tratta di una legge che in larga misura riflette la proposta radicale dell’Associazione Coscioni decisamente a favore dell’eutanasia.
Ma la Bigon, per questo suo atto di astensione che riflette una posizione né contro né a favore della legge, è stata destituita dall’incarico di vicesegretario provinciale Pd di Verona. Sono state le circostanze a determinare l’enorme rilievo che la sua decisione ha assunto alla luce della parità tra consenso e dissenso che si era creata nella maggioranza. Eppure, verso i consiglieri regionali di maggioranza non c’è stata nessuna reazione: l’unica a pagar cara la sua posizione è stata la Bigon, perché il segretario provinciale dei Dem a Verona, Franco Bonfante, l’ha destituita dal suo ruolo di vice, affermando che si trattava di una sua scelta politica, un atto di trasparenza nei confronti degli elettori. E ha aggiunto: “Sui temi etici è corretto che sia lasciata libertà di voto per motivi di coscienza, ma chi la pratica deve essere consapevole delle conseguenze politiche” e con questa affermazione, vistosamente contraddittoria, l’ha scaricata.
Era il suo braccio destro, ma ora per trasparenza verso gli elettori, nonostante abbia agito coerentemente con la sua coscienza, è stata licenziata. Bonfante, in ogni caso, avrebbe preferito che fosse uscita dall’aula e avesse rilasciato una sua dichiarazione, privando il suo atto di tutta la valenza politica che invece ha assunto, non solo perché si è astenuta, ma anche per lo strano equilibrio che si era creato nel centrodestra.
La decisione di Bonfante appare in questo caso oggettivamente difficile da capire e da condividere. Dice sì alla libertà di coscienza, ma poi punisce chi la esercita. Tollera il dissenso, però non in aula con le oggettive conseguenze del voto, e preferisce che lo si faccia in corridoio, magari parlando con i giornalisti. Un piccolo capolavoro di ipocrisia in cui non si capisce da che parte stia la verità, ma si comprende perfettamente la visione politica di Bonfante, per cui la linea del partito deve sempre e comunque prevalere su qualsiasi valutazione personale di fatti e circostanze. “Nella mia esperienza decennale di consigliere regionale e di vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto” ha dichiarato Bonfante “mi sono trovato in alcuni casi in dissenso rispetto al mio gruppo, ma ho sempre votato quello che il gruppo decideva, anche su temi considerati sensibili, perché è così che ci si comporta quando rappresenti un’intera comunità: il senso di responsabilità nei confronti degli altri e della comunità che si rappresenta, non è meno importante del rispondere alla propria coscienza, che riguarda se stessi”.
Ma l’articolo 48 della nostra Costituzione in realtà afferma qualcosa di ben diverso e cioè che il voto è personale, eguale, libero e segreto. Bonfante continua nella sua critica alla Bigon, sostenendo che vari consiglieri di centrosinistra cattolici hanno votato a favore della proposta di legge, argomentando la loro decisione anche su riviste cattoliche e che in ogni caso la decisione è esclusivamente sua e ne risponderà nelle sedi ed organi competenti. Lui, quindi, può prendere autocraticamente le decisioni che reputa più giuste, anche senza consultare il partito, ma la Bigon no! Insomma, un bel mucchio di contraddizioni da cui è lecito ricavare qualche conclusione interessante.
Nel Pd, almeno secondo Bonfante, chi comanda esercita la propria libertà di coscienza, ma chi è sottoposto obbedisce alla legge dominante che è dettata dal partito. La Bigon, che in questa organizzazione, fortemente centralizzata, si trova solo nella seconda posizione, paga lo scotto della sua libertà. Nel centrodestra invece può anche regnare un’allegra confusione, ma i consiglieri votano come credono, rispettando la propria coscienza senza doverne rendere conto neppure ai dirigenti di partito, neppure al presidente della regione, che di questo pasticcio è il principale responsabile, ma nessuno si sognerà di condannarli per questo.
A sinistra pochi giorni fa un membro molto autorevole come Graziano Delrio aveva affermato: “Sarebbe profondamente sbagliato, e perfino grottesco, se nei confronti della consigliera della regione Veneto Anna Maria Bigon venissero adottati provvedimenti disciplinari”. Eppure, così è stato: un partito fortemente in crisi come il Pd non riesce a difendere la libertà dei suoi membri e continua ad esercitare il vecchio tradizionale controllo centralistico. È per lo stesso identico e documentato motivo che tanti anni fa me ne sono andata in fretta: ero approdata nel Pd arrivando dalla Margherita, con i miei ideali e i miei valori. Impossibile mantenere coerenza e libertà, come invece è stato possibile fare anche nel piccolo, piccolissimo partito Udc di cui sono ancora parte viva.
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