Tutti contenti dopo il Consiglio intergovernativo europeo che, sulla determinazione del nuovo bilancio dell’Ue e le modalità attraverso cui indirizzarlo a sostenere l’emergenza economica dovuta alla pandemia, ha quasi fatto il record di durata (resiste solo il Consiglio di Nizza del 7-11 dicembre 2000) fra il 17 luglio e l’alba del 21 da poco trascorsi?



Non proprio. A cominciare dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, che sul cosiddetto Recovery fund commenta icasticamente: «Noi riteniamo che questo fondo sia un super-Mes, una fregatura grossa come una casa». Ometto qui di intervenire sul Mes, a mio parere ottima risorsa della quale usufruire in fretta, subito, prima di veder l’applicazione (non immediata) di quanto appena deciso dal Consiglio europeo. Sottolineo che in poche settimane stiamo arrivando in Italia al terzo successivo scostamento (in negativo, ovviamente: prima 20 poi 55 e ora, sembra, 25 miliardi) di bilancio imposto dall’art. 81 della Costituzione sull’equilibrio di entrate e spese, norma approvata dal Parlamento sotto il Governo Monti e votata fra gli altri da Giorgia Meloni.



Piuttosto, la “casa comune” europea – se a questa si allude – così com’è costruita ora resiste bene, benché più vicina agli interessi degli Stati nazionali che del popolo d’Europa. E non sto ad annoiare con le considerazioni concernenti i rimborsi che alcuni Stati membri dell’Ue hanno ottenuto rispetto ai propri contributi al finanziamento dell’Unione stessa, per consentire ad alcuni altri Paesi membri di poter avere rilevanti risorse a fondo perduto nonché sotto forma di prestiti a tassi d’interesse estremamente vantaggiosi. E nemmeno sto ad articolare i numeri di quanto alla fine del negoziato spetti statisticamente pagare al singolo cittadino olandese o tedesco o francese come contributo al bilancio comune europeo deciso a carico del proprio Stato di appartenenza. Neppure indico quanto invece incasserà il cittadino italiano o spagnolo avvantaggiandosi di questa articolata costruzione. Invece non riesco a non citare i 208,8 miliardi di euro (81,4 a fondo perduto e 127,4 di prestiti) che arriveranno all’Italia, sperando nella miglior elaborazione al riguardo dei tanti necessari piani di investimento da parte nel nostro Paese, prontissimo ad affrontar emergenze, scarsissimo nel programmare la vita ordinaria.



D’altra parte qualche numero è indispensabile per dar attuazione alla felice espressione di Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica italiana dal 1948 al 1955, secondo cui occorre «conoscere per deliberare»; senza scordare che è il Vangelo di San Giovanni, riportando le parole di Gesù, a ricordarci che «La verità vi farà liberi» (8.32) e persino che si deve non dire ma «fare la verità» (3.21).

Ma… Il “ma” che si vuole sottolineare è quello del Parlamento europeo, unica istituzione genuinamente federale dell’Unione europea ed eletta a suffragio universale popolare diretto, che fra i propri importanti compiti di controllo democratico comprende l’approvazione (o il rigetto) del progetto di bilancio dell’Unione (art. 314 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea-Tfue).

Secondo l’art. 311 Tfue, «l’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche. Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie». Da anni il finanziamento del bilancio comune è realizzato soprattutto attraverso contributi degli Stati membri, in aggiunta alla percentuale dell’Iva e a declinanti entrate dovute ai prelievi agricoli e ai dazi doganali; senza ricordare altre modeste fonti.

Le «risorse proprie» sono così sostanzialmente risorse trasferite dagli Stati. Non «proprie» dell’Ue!

Occorrerebbe pertanto ragionare, e in parte lo si sta facendo, su come ottenere risorse genuinamente derivanti da scelte politico-economiche dell’Ue, senza duplicare tassazioni nazionali: si pensi alle imposizioni sui “giganti” del Web, nonché alla “plastic tax” e al sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra (Ets).

Quello che è uscito dal Consiglio europeo per un ammontare di 1.074 miliardi è addirittura il Quadro Finanziario Pluriennale-Qfp dell’Ue, relativo agli anni 2021-2027. Poco più di 150 miliardi di euro annui che comunque serviranno quale garanzia dell’emissione di titoli di debito pubblico europeo da parte della Commissione, onde ottenere prestiti – a tassi di interesse vantaggiosi grazie al rating di tripla A – necessari ai previsti trasferimenti di fondi a Stati membri. Un accenno, questo, di “momento Hamilton”, almeno nel senso che per la prima volta nell’Ue si va a metter in comune fra Stati un debito futuro, non certo quello passato, condividendo una prospettiva continentale secondo il principio di solidarietà.

Ciò detto sinteticamente, a settembre entrerà nel vivo la procedura di approvazione del bilancio dell’Ue a opera del Parlamento europeo (mentre l’accordo complessivo di qualche giorno fa sul Recovery Fund/Next Generation EU passerà al vaglio dei Parlamenti nazionali).

L’orizzonte non è nitido: il Parlamento di Strasburgo lamenta già (si veda la sua risoluzione, del 23 luglio 2020, «sulle conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020») sacrifici insostenibili, quanto a non pochi fra i 35 programmi di cui il bilancio è composto, come al riguardo di ricerca, clima, salute. Solo da quest’ultimo punto di vista è stato infatti sacrificato dal Consiglio europeo straordinario lo stanziamento di 15 miliardi, proposto dalla Commissione, sul programma EU4Health riducendolo a poco più di un decimo (1,7 miliardi) per tutto il periodo del Qfp. E stiamo parlando di sanità pubblica, di questi tempi…! Stiamo parlando di futuro, specialmente delle giovani generazioni E parlano di futuro altri programmi “comunitari”, quali Horizon Europe sulla ricerca scientifica (e chi vive in università sa bene quanto questi programmi siano stati importanti), passati da 13,5 a 5 miliardi di euro. Stiamo programmando la qualità del futuro dell’umanità, a partire dal Continente europeo, com’è il caso del programma Just Transition Fund sul clima, caduto invece da un tetto di finanziamento di 30 miliardi ad uno di 10, mentre il programma InvestEU sugli investimenti strategici è passato da 30,3 a 5,6 miliardi.

A questi vari, specifici e diversi, aspetti potremmo dedicarci prossimamente, ricordando anche l’importanza nel bilancio delle risorse per l’azione esterna dell’Ue e per la politica sulle migrazioni e l’asilo: per conoscere, per «fare» la verità in tempi in cui la verità è oscurata; in tempi in cui persino i valori dello Stato di diritto (v. art. 2 Tue) sono oscurati senza, ad esempio, precisamente legarne il rispetto ad esempio all’accesso proprio ai fondi Ue.

Per ora: in bocca al lupo per gli…esami di riparazione davanti al Parlamento europeo, a settembre! Ricordando lo scontro a dicembre 1979 fra il Parlamento e il Consiglio sul bilancio dell’anno successivo, sul suo ammontare e sulla qualità delle sue spese, conclusosi nel maggio 1980 con la vittoria del Consiglio (complice la Commissione). Allora, fra gli altri, nel Parlamento europeo sedeva Altiero Spinelli. Ma anche di questo potremmo parlare più avanti.